Happy B, Mister Finn
Google ci ricorda il “compleanno” di Mark Twain, nato il 30
novembre di un anno a metà dell’800. L’anno scorso uno dei suoi capolavori
letterari è stato offeso da una rieditazione politicamente corretta che ha
fatto man bassa della storia dello scrittore e delle sue convinzioni, della
morale del libro, delle parole. La sostituzione di “nigger” con la parola
“slave”, decisa dal docente universitario curatore dell’uscita editoriale, ha
scatenato critiche senza fine da ogni parte. Se ci si pensa per quattro secondi
si capisce subito cosa implichi l’etichetta di schiavo più di quella di negro
che non solo ai tempi di Twain mai era stata concepita come insulto, e da lui
antirazzista proclamato in particolare, ma pure lessicamente corretta era.
E poi è così una dichiarazione di
sconfitta ricorrere a trucchetti e magheggi di parole solo perché si è
consentito che altri con cattive intenzioni ne scippassero il senso. Tandeka è
una Xhosa e quando le ho detto che non è una cosa bella, no? la violenza che
imperversa fra Xhosa e Zulu, Tandeka mi ha guardato con compatimento,
sorridendo allucinata e mi ha spiegato che no,
no, è un bene: Zulu e Xhosa sono diversi ed è giusto che combattano per le loro
culture. Una delle più grosse bastonate che siano arrivate alle mie
certezze. Una roba che ti fa sentire una donnina di panpepato confezionata con fiocchetti
rossi, ti scaraventa fuori dal salottino dove hai letto tanti libri e di butta
nella realtà. Non ho avuto modo, per evidenti motivi, di parlarne con il pur
loquace ufficiale che in aeroporto ha messo il visto sul mio passaporto: un
nero alto alto e simpaticissimo, attirato dalla provenienza dalla terra della
pizza e della mafia, ca va sans dire, che ci ha tenuto ad auto dichiararsi –
lui a me! – un Sotho. Specificando, proudly,
del Limpopo.
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