nelle vineyard ugonotte, il sudafrika e giorgio armani


Delle differenze. Delle races, delle etnie, dei popoli. Delle lingue. E la questione delle questioni che nel mondo moderno ci siamo dimenticati: dei ricchi e dei poveri. Nella Rainbow Nation 2011 l’equilibrio si muove in armonia su un filo tirato nel vuoto, tra un altopiano brullo e roccioso e un picco di una montagna verde smeraldo, dove corrono senza interruzione vigneti pregiati e distese di veld di cui non si intuisce la fine, sopra le acque agitate e profonde di un Oceano pieno di vita, sotto un cielo azzurro come un pastello di cera.
Lei non so quanti anni possa avere e cerca di parlarmi in Afrikaans e di impedirmi in tutti i modi di suonare the bell che invece schiacciamo ripetutamente non capendo il motivo del divieto. Schioppetta solo Xhosa e gratta la gola per farne uscire la lingua degli Afrikaaner. Non è solo che è anziana o nera: parla la lingua dei bianchi, e la sua ovviamente, perché era povera. Perché non è ricca. Per strada ho incontrato bianchi che  non hanno altra lingua che quella in via d'estinzione, come il suo popolo, ed è perché erano e sono poveri. Bianchi poveri da sempre. 
Nel suo grembiule turchese, nonostante il sorriso luminoso, la donna Xhosa è terrorizzata, per un gesto che invece sappiamo non essere rivoluzionario: nessuno ti punta il fucile a pallettoni, da queste parti, se decidi di oltrepassare cancelli spesso spalancati ed entrare in una grande tenuta per suonare il campanello della villa del padrone di tutto quel bendiddio e chiedergli se ha un cottage to rent. Non solo non ti sparano, ma ti danno pure il buongiorno, welcome how can I help you?

Quando finalmente lui, il padrone di tutto quel bendiddio, arriva gentile e chiede addirittura scusa per l’attesa ma è che stava facendo un massaggio con olii essenziali di cui rilascia il profumo ancora più forte di quello dell’erba appena tagliata nel giardino su cui affaccia la sua casa, un non so quanti mille metri quadrati accerchiato dalle montagne e ombreggiato da querce secolari. Stunning. 

Lui, un dandy di origini francesi ugonotte, è innamorato dell’Italia e recita città, vie, stradicciuole, boutique, palii, ristoranti, alberghi cinque stelle, Santa Margherita solo fuori stagione e chissà ora che è successo quel che è successo ma spiegatemi come sia stato possibile e tu che cosa gli vuoi raccontare dell’abuso del territorio e della mala gestione ché poi ti guarda e cambia discorso, by the way Leonardo e Brera e ci mostra le sue handmade terracotte, osanna Ferrè anche se indossa in quel momento una tutina bruttarella che attribuisce sorridendo alla madrepatria.
Ci segue passo passo, lui, Giorgio Armani, un nome e cognome per un cane di razza libero di correre in questa valle che sale verso la Jonkershoek Reserve dalla quale a volte scendono babbuini, a volte, ed è peggio, incontenibili fiamme che bruciano il prezioso fynbos. 


Già centrifugati da questa accoglienza senza riserve, succede una di quelle cose che non potrei mai neppure immaginare in Italia: l’ugonotto si gonfia d’orgoglio e inizia il giro di un’infinitesimale parte del parco di sua proprietà. 
Scuotendo la testa alla quale è attaccata una capigliatura lunga finta come un parrucchino, con le mani verso il basso come frecce indica a destra e sinistra cespugli di rose, aiuole di lilium e non mi ricordo più quante varietà di fiori che quasi chiama per nome come fossero figli essendo frutto di talee infinite di cui è appassionato praticante, e a seguire due laghetti e due piscine, una che riverbera il solito azzurrino del fondo e perimetrata da colonne su cui poggiano aquile prodotte da un italiano sulla Route 44, l’altra riempita da acqua del fiume che scende dalla fonte pulita pulita e qui è l’apoteosi: si ferma, l’ugonotto, e con la mano sinistra indica le due fontanelle da cui sprizza l’acqua nella grande vasca. Taste it! Taste it! 







I piedi sono leggermente con le punte in fuori, le gambine vanno su dritte sulla pancia prominente e sul petto ritratto per tenere il respiro prima di chiedere con amore, come l’avesse originata lui stesso, Do you like it? It’s good… it’s soft… Il tono carezzevole si sposta poi subito su uno dei vigneti che parte proprio da lì con il Merlot e seguendo la scia degli olii da massaggio si entra in un altro pezzo di bosco dal quale di vedono i grattacieli di Cape Town e avessimo tempo potremmo continuare questo giro nella proprietà più bellissima di Sudafrica, isn’t it? e la domanda non lascia spazio a discussioni anche perché sarebbero davvero fuori luogo da quel luogo che lasci alle spalle, ricco e rigoglioso, sbatacchiando su una strada sterrata dove per chilometri non incontri nessun altro. 

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