Italians do it better: ché per girare il mondo non è importante parlare inglese ma essere intelligenti viaggiatori


Alberto ordina puntando con precisione l’indice su una bistecca di bovino adulto e poiché rare suona roboante di cosa cruda sceglie quel punto di cottura. Luciana assaggia, sperimenta, se la ride, decide con sicurezza per un risotto with porcini and truffle che poi versa per metà nel mio piatto così me lo godo anch’io, facendo sogghignare quel due metri di giovane cameriere biondo con un’apertura alare da rugbista che serve in questo ristorante chic dove puoi cenare pure con T-shirt e infradito senza che nessuno abbia a guardarti anche perché gli occhi hanno il bel loro da fare visto che ci troviamo in un antico stabile del 1798 in tipico stile Cape Dutch e Vittoriano.

Lo so che non ho messo punteggiatura e che è peggio del solito con le virgole, ma sarà l’effetto che mi fanno i 14 gradi del Cabernet Sauvignon Rust en Vrede o è l’emozione che mi muove stare dentro La Gratitude, costruita dal primo reverendo di Stellenbosch e rinnovato da Ernie Els che è nato a Jo’burg un anno prima di me (che però ho visto la luce a Giussano!) ed è uno dei migliori giocatori di golf al mondo, soprannominato The Big Easy, nome che ha dato a questo fantastico ristorante di cui qui si esaltano la cucina e i vini. 
Alberto e Luciana sono ovviamente due nomi inventati: se me ne daranno la possibilità userò i loro veri, ma la storia è bella anche così perché è vera!

Incredible! è l’ultima sera di un on the road di tre settimane iniziato nella pericolosa Johannesburg dalla quale è meglio uscire subito, passando per città dai muri alti e pieni di filo spinato e coprifuoco alle 5 p.m., correndo lungo la costa e alla sinistra l’oceano indiano con dentro i surfisti e gli squali e le balene, dormendo in ostelli e b&b prenotati all’ultimo, ma in che lingua? Sorridono, ci s’intende. Noi, loro e quelli incontrati fin qui nel Western Cape dove comprare nei mall gli ultimi regali chiedendo – in una qualche lingua universale che non è l’inglese – alle commesse dove trovare le sementi di Protea e i cosmetici di Rooibos. Senza sapere una parola d’inglese – quello che senza il quale non si lavora né si può vivere, ormai – ma parlando italiano, francese e un po’ di spagnolo hanno girato mica solo questa punta del continente africano che tanti connazionali pensano tutto deserto e tribù e idiomi curiosi: i due, hanno visto tanti posti del mondo e si son fatti capire e han capito molte cose da raccontare, con un bicchiere di Pinotage,  seduti sul divano di casa – dell’India e di Cuba, del Sudamerica e delle dittature e delle povertà e dei mille dubbi che la conoscenza impone – prima di ripartire per l’Italia, lasciandoci qua con un altro bell’incontro ad arricchire queste amazing giornate Sudafricane. 

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