Gli strati della povertà


La povertà ha una moltitudine di strati che i ricchi neppure possono immaginare.
Il mondo è diviso in infinite parti: una è quella dei ricchi le altre sono i milioni di modi di essere poveri. Mentre i ricchi sono tutti uguali – anche quando devono fare qualche sacrificio per comprare un rolex o un’audi - si è poveri in milioni di modi diversi.
Per una volta non corro sull’autostrada verso Cape Town, ma rimango in coda per via di un cantiere e vedo da vicino i particolari del cerchio più esterno della township più grande della Mother City, pare tra i 2 e i 3milioni di abitanti. Il censimento è impossibile: le baracche di latta spuntano ovunque ogni giorno mentre si continua ad allungare la fila di casette in muratura costruite per i poveri. Tra queste ce ne sono alcune essenziali, altre che invece pian piano crescono di un piano e si ornano di colori sgargianti e vegetazioni rigogliose. Ci sono addirittura shacks abusive che si sono ricavate un’ombra sotto un albero un po’ secco e un prato dove brucano magre mucche: mi sembra che quindi stiano meglio di quelli che i venti metri quadri ce li hanno attaccati ad altri venti metri quadri, con i cessi esterni in condivisione con altri chissà quanti e il problema di chi li taglieggia per entrare nella cloaca. Non so, mi rimetto leggermente in moto e vedo pattumiera e gente che percorre l’autostrada a piedi per andare ovunque, a lavoro come a scuola con le uniformi belle o a fare nulla tutto il giorno. Sotto il sole e sotto la pioggia.
C’è che le township non sono bidonville, ma città satellite e la differenza è sostanziale: dentro ci sono anche quelli con la villa con piscina e poi via via i gironi sempre più uno sprofondo verso il basso, con alcuni poveri più ricchi di altri o forse meno poveri e un groviglio di impegno e menefreghismo, di dignità e sfruttamento, di gioia e di dolore, di colori e di puzza di fogna, di alberi tagliati per farsi caldo e di fogliami tagliati che non sono più lì a fare fresco. Tutti diversi, buoni e cattivi, ognuno con le proprie motivazioni, tutti uniti dall’essere poveri e dal bisogno di combattere per arrivare a stasera. Ma tutti definitivamente diversi ciascuno dall’altra.
Tandheka mi ha detto, e non smetterò mai di ripeterlo, che gli eredi di quelli che hanno lottato per liberare il popolo nero ora passano con i cortei di macchine di lusso accanto alle loro case di latta e non se ne hanno pensiero. Giorgio a Milano, un ex ingegnere caduto in disgrazia e incontrato in una mensa per poveri, mi spiegò cos’è la povertà con un’immagine chiara, sorridendo, mostrando i pochi denti rimasti: quando avrò modo di tornare da un dentista e sistemare la dentatura, allora avrò fatto il primo passo per uscire dalla povertà.
Anche i diritti sono diversi tra ricchi e poveri. E se sei povero sei diverso da un ricco anche se hai lo stesso colore della pelle, o lo stesso malanno, o l’identico gusto sessuale. Lo dicevo qualche giorno fa circa la grande libertà dei gay in questo Paese e le drammatiche violenze che invece in certe aree sono costretti a subire.
Conosco le eccezioni, quelli che ce l’hanno fatta nonostante. Eppure la sterminata serie di tetti di latta sottratti ai voleri del vento grazie a massi e addirittura poltrone squarciate mi dice che ci si dovrebbe di più occupare della regola. Ma dirlo è facile e anche andare in tour guidato a misurare la propria filantropia: a volte alla la semplice cronaca può risultare stucchevole, forse aiutano poche veloci fotografie scattate stando in coda sull’autostrada. 

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