Senza soldi, senza casa, senza scuola: senza futuro, i bambini poveri del ricco Sudafrica
11.5
milioni di bambini sudafricani, su un totale di 19 milioni di minori, vivono in
condizioni raccapriccianti, di povertà estrema, esposti alla fame 17 volte in
più rispetto ai loro altri coetanei. E con la prospettiva di finire il percorso
scolastico ridotta di almeno tre punti se confrontata al resto della
popolazione. Un rapporto Unicef in via di pubblicazione punta l’indice contro
il governo sudafricano e chiede di mettere in atto immediate e drastiche azioni
correttive. I dati drammatici non sono altro che una delle tante fotografie che
si possono scattare ai margini delle belle e ricche città, delle moderne e
affascinanti metropoli come dei rurali e storici piccoli agglomerati di case
basse e bianche come quelle del nord Europa. Sono due mondi che non si toccano,
che al massimo s’incrociano per strada senza sfiorarsi, per diffidenza da una parte
e per pudore dall’altra.
I
bambini del rapporto Unicef sono praticamente i neri che vivono nelle township,
una volta “città satellite” ora esplose di dimensioni e di conflitti sociali
nel susseguirsi sterminato di shacks di lamiera e pezzi di legno, tutto
materiale di risulta, vecchio e insufficiente a combattere il freddo e a
sopportare il caldo, che addirittura viene venduto in piccoli store di lamiera
e pezzi di legno che sfruttano la disperazione altrui per uscire dalla propria.
Qui, nell’assenza di fogne e di servizi basilari, di corrente e di acqua, si
ammassano milioni di sudafricani e immigrati provenienti dai paesi confinanti
ridotti in peggiori condizioni. Per rimuovere la vergogna è stata coniata anche
una definizione politicamente corretta: informal settlement. Affianco sono
state costruite le “temporary housing area” che pur essendo legali non
garantiscono ai “temporanei” residenti migliori condizioni. In uno di questi
ultimi – Blikkiesdorp, inserito tra l’immensa township nera di Khayelitsha e
quella coloured di Michells Plain – l’anno scorso ci sono stati 4379 casi di
tubercolosi e 118 di questi si sono rivelati mortali. Qui, il 13 aprile scorso
un bambino di due anni è morto per le complicazioni di una meningite e altri
due sono morti nel week end di Pasqua. Tra gennaio e marzo in tutto si sono
contate almeno 15 quindici vittime in quella che è catalogata come “community
workers”, abitate cioè per lo più da lavoratori agricoli stagionali che poi
però di fatto da lì non vanno più via. Non solo le condizioni igieniche, ma
anche quelle logistiche sono il motivo di questo propogarsi di malattia e
morte: «La maggioranza delle persone è talmente povera che non può permettersi
di venire tutti i giorni in ospedale per le cure», spiega infatti Harry Hausler,
direttore sanitario della TB Care Association. La tubercolosi è strettamente
connessa all’Aids, il più pericoloso e impietoso killer di adulti, giovani e
bambini: più di 5milioni di minorenni sono sieropositivi e si stima che ogni
anno almeno 300 mila bambini nascano con l’Hiv. Dei 4 milioni di orfani, poco
più della metà lo è a causa dell’Aids. Aida Girma, Unicef Sudafrica, è
lapidaria: «Il Sudafrica è uno dei paesi dove di più si trovano ineguaglianze».
Ineguaglianza
che si vede ancora di più uscendo dalle belle città e correndo lungo le
superstrade da dove si intravedono queste isole di povertà estrema,
impensabile, tollerata anzi, dimenticata. Come ti colpisce il cambio repentino
di meravigliosi paesaggi, ti entra nello stomaco come i due mondi – dei ricchi,
neri o bianchi che siano, e dei poveri – possano essere così nettamente diversi
e separati. Questa è la separazione che oggi sta facendo migliaia di vittime,
quella tra ricchi, molto ricchi, e poveri, molto poveri. Dove nelle township le
scuole non hanno le librerie – per le quali sono in atto progetti supportati da
ong locali e straniere – ma neppure cibo per le mense, acqua corrente in cui
lavare i piatti che passano semplicemente per catini di acqua fredda e sporca.
E soprattutto non ci sono per i poveri insegnanti preparati, come testimoniano
le percentuali di ripetizione degli anni scolastici a tutti i gradi (attorno al
50 per cento) e di abbandono del percorso di istruzione.
Niente
educazione niente futuro migliore, per i milioni di bambini poveri che crescono
e sono cresciuti del Sudafrica democratico: a poco servono le leggi che
impongono tassi di assunzione in base alla comunità di appartenenza, se ai
poveri non è data la possibilità di formarsi e uscire dalla ineluttabile
povertà.
Lo sanno più le famiglie che la politica: nella cittadina agricola di
Grabow (in foto potete vedere l’aula di informatica della bella scuola della
comunità coulored), centro di produzione e smistamento della fretta, circondato
da montagne di pinete come in Svizzera, qualche mese fa scoppiarono scontri tra
neri e coloured che i giornali internazionali ricondussero a questioni
“razziali”. Al centro della battaglia cruenta c’erano invece le proteste per le
misere condizioni della piccola e povera scuola per i figli dei temporary
workers, trasformatesi poi in rabbia distruttiva nei confronti della scuola
bella, quella dei coloured. Un conflitto risolto con la promessa di costruire
velocemente nuove aule per i bambini poveri. In shacks, ovviamente. Ma meglio
che niente.
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