I minatori, l'accusa di omicidio, la Storia e quelli che accendono i fuochi
L’Autorità nazionale di pubblica accusa conferma: tutti i
270 minatori che si trovano in carcere per violenza, sono ora accusati di
omicidio. E’ previsto dalle leggi di procedura penale del Sudafrica com’era
durante l’Apartheid: la loro colpa è di aver partecipato alle manifestazioni
finite nel sangue, armati di lance e machete. I lavoratori - ancora in sciopero
- urlano ancora di più l’indignazione perché i poliziotti che hanno ucciso i
loro colleghi rimangono invece a piede libero. Dall’autopsia emerge che avrebbero
sparato alle spalle.
Due pesi e due misure.
Solo il 7% dei dipendenti Lonmin è tornato a lavorare,
mentre gli altri aspettano gli esiti della trattativa concessa dalla
multinazionale del platino solo dopo la strage: ora tutti dicono di volere una
soluzione pacifica. Il prossimo tavolo di dialogo è previsto mercoledì prossimo
ma la notizia arrivata dalla Procura potrebbe riaccendere la brace dello
scontento di masse di lavoratori abbandonate nelle distese di baracche di legno
e latta. A soffiare sul fuoco c’è l’espulso presidente della lega giovanile
dell’Anc, Julius Malema, che di miniera in miniera e sta facendo la sua
campagna elettorale contro Zuma chiamando alla rivolta. I neri stanno peggio
che durante l’apartheid, ha detto Malema ieri a una folla che lo arringava
fuori dalle desolate cave aurifere dell’Aurora in via di dismissione. Una delle
tante bombe, pronte a esplodere in Sudafrica al minimo segnale.
Da Città del capo, Lorella Beretta (31 agosto, radio svizzera italiana)
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