Lonmin: la commemorazione della strage di una settimana fa
Si piange, si prega, si continua a lottare nella distesa secca
di Legotle, a Marikane, la scena del bagno di sangue di una settimana fa. Ci
sono politici, presidenti, re e leader religiosi. Alle stazioni radio la gente
telefona e prega assieme agli altri.
La sfilata di politici non è piaciuta ai minatori, che
stamattina presto hanno tenuto una propria cerimonia, con le famiglie arrivate
anche dal Lesotho, da cui proveniva la metà delle vittime: gli uomini di
governo, Jacob Zuma in testa, sono indicati come i colpevoli della strage ad
opera della polizia. E ora sono accusati di voler solo trarre vantaggio personale
dal sostegno alle famiglie colpite dal lutto.
La miniera oggi è chiusa, come comunicato dalla Lonmin,
anche se le attività di estrazione sono di fatto quasi ferme per il mancato
rientro degli operai. L’ultimatum della multinazionale, ignorato e più volte
rinviato, per ora è stato di fatto sospeso per questa settimana di lutto nazionale. Il rientro
alla normalità è dunque atteso per lunedì. Nel frattempo vertici della Lonmin e
sindacalisti stanno trattando in gran segreto, seguiti dalla ong Bench Marks,
co fondata da Desmond Tutu.
Le organizzazioni per i diritti umani sono invece per ora le
uniche a chiedere una commissione d’inchiesta indipendente che faccia luce su
come i poliziotti abbiano potuto iniziare a sparare all’impazzata contro i
manifestanti, sebbene armati di lance e di machete: un ordine? O davvero il
panico come detto sin dall’inizio? Qualunque sia la ragione i 44 morti totali
di Marikane sono un numero troppo pesante.
Intanto le proteste dei minatori si allargano alle altre
miniere, comprese quelle della potente Anglo American.
Da Città del Capo, Lorella Beretta (gr RSI h12.30 am - 23 agosto)
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