Re, homeless e foto dell'anima
Lee Jeffries è diventato il re dei ritratti degli homeless: da mesi le sue foto di uomini e donne pieni di rughe e abiti rattoppati, girano il mondo.
Dal punto di vista tecnico potrei dire che le foto sono molto ben fatte. Non sono un'esperta di fotografia né di homeless al pari di altri amici che ho invece appena interpellato. Mi sono capitati davanti agli occhi gli scatti di Jeffries e non c'ho visto niente di reale in quelle pose innaturali. Certo le rughe saran quelle, ma quanto ritoccate? E lo sguardo, quanto cambia lo sguardo se è diretto a una professionale macchina fotografica piuttosto piuttosto che alla vita dolce e amara di tutti i giorni?
Quante volte mi è capitato - da giornalista radiofonica in giro per strade e palazzi - di nascondere il registratore non per rubare indiscrezioni ma per catturare autenticità? Tante volte, ché lo vedi subito come cambiano il tono e l'espressione appena a un volto compare una telecamera o un voice recorder.
E perché non dovrebbe succedere a un homeless chiamato a fare da modello da un bravo fotografo?
Mi si sono apparati davanti agli occhi gli scatti di questo fotografo professionista, passato dal calcio ai clochard, e ho riguardato queste povere foto che mi è capitato in grazia un giorno di fare a quest'uomo dal viso scolpito nell'ebano ai Giardini di Cape Town, mentre il suo sguardo non vuole raggiungere la mia lente ma una nidiata di papere che si muove verso di lui.
E sarà che non sono un'esperta di fotografia, sarà che non so neppure fotoritoccare, sarà che non me ne attribuisco nessun merito ma quello sguardo sì, che mi sembra vero.
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