Ritorno al Paese: lentezza e ritardo
E' il mio Paese come sempre grigio dal finestrino e smaltato di disattenzione al rullo dove scorrono le valigie che arrivando molto lentamente danno il tempo a uno degli intervistatori di avvicinarmi, stretto tra le spalle strette e col viso color cera sul quale risplende uno sguardo disilluso, per farmi domande circa il mio ultimo viaggio, quello che mi ha riportato da chissà dove su suolo patrio, s'intende.
Mi fa vedere il foglio quando ormai io già mi fido di lui e comincio a rispondere, interagisco, chiedo spiegazioni e di nuovo rispondo, sempre obbligatoriamente risposte che mi piacciono lì per lì. Alla fine di tutto ci vuole un numero di telefono al quale qualcuno potrebbe chiamarmi per verificare che non si sia inventato l'intervista, lui. E per tranquillizzarmi estrae un foglietto grande come un segnalibro da un mucchio di altri simili ricoverati nella cartelletta dell'intervistatore (o del presentatore, tipo quelle di Mike Bongiorno). In alto c'è il logo e sotto la scritta della Banca d'Italia e poi la spiegazione che "La BANCA D'ITALIA sta svolgendo una indagine campionaria sul TURISMO INTERNAZIONALE pressp le principali frontiere del Paese [...]. Tra i compiti istituzionali della Banca d'Italia vi è la raccolta e l'elaborazione delle informazioni necessarie per la compilazione della BILANCIA DEI PAGAMENTI DELL'ITALIA". A proposito di pagamenti, il mio intervistatore e i suoi colleghi che con lui conducono indagini statistiche anche per la Banca d'Italia di cui sopra, percepiscono all'ora 6,50 euro lordi. Una vergogna. In cocopro. Uno di loro, in là con l'età, mi spiega che non bisogna condannare quei contratti precari e pulciosi ché sennò lui non lavorerebbe. Poi mi fa un racconto personale di vita e di morte e con gli occhi umidi lo lascio fare altre interviste mica che poi magari non lo pagano neppure quella miseria lì. Superata la muraglia di tassisti cerco dove comprare il biglietto per l'autobus e finisco per chiederlo di proposito a un signore che forse avrà la mia età - quella però l'ho dichiarata esatta ai sondaggisti - e che sta seduto su una delle poltrone di Linate proprio come quei middle class di cui tante volte ho parlato e scritto e come me tanti esimi colleghi: ha lo sguardo perso nel vuoto e la mia missione, ancora accaldata di Sudafrica, è fargli ritrovare un filo da seguire. E gli chiedo dove posso trovare il biglietto. Mi osserva stupito, forse ha capito il mio gioco, ma ci sta: sorride, risponde che non sa ché è di Varese... Lo ringrazio lo stesso, ripete che gli spiace, sorrido e esco verso la fermata della 73 senza perdermi però l'arrivo di tre macchine blu più scorta che mi fa incazzare pensando a quelli lasciati là dentro. Vaffanculo, salgo sulla 73 senza posto per la valigia e dopo fermate sento una signora conla tinta mogano parlare ininterrottamente a mitraglia con una giovane ragazza nera di "chissà quanto ti manca l'Africa" e "perché non vieni da noi, si parla un po', si legge la Bibbia"... Con la testa piena di treccine appoggiata al vetro unto dell'autobus, lei annuisce lentamente, con quella solennità dei gesti al ralentì che hanno solo loro. Tutto il resto è bottigliette e ciccate per terra, piercing che fanno figo e puzza che fa schifo. E uno tutto muscoli e alternativo che ci mette troppo tempo a capire che se mi tenesse la porta aperta gentilmente mi aiuterebbe con il mio carico da trenta chili e che quando lo fa si sente dire che è troppo tardi. Ché una cosa è la lentezza. Un'altra il ritardo. Shock.
Mi fa vedere il foglio quando ormai io già mi fido di lui e comincio a rispondere, interagisco, chiedo spiegazioni e di nuovo rispondo, sempre obbligatoriamente risposte che mi piacciono lì per lì. Alla fine di tutto ci vuole un numero di telefono al quale qualcuno potrebbe chiamarmi per verificare che non si sia inventato l'intervista, lui. E per tranquillizzarmi estrae un foglietto grande come un segnalibro da un mucchio di altri simili ricoverati nella cartelletta dell'intervistatore (o del presentatore, tipo quelle di Mike Bongiorno). In alto c'è il logo e sotto la scritta della Banca d'Italia e poi la spiegazione che "La BANCA D'ITALIA sta svolgendo una indagine campionaria sul TURISMO INTERNAZIONALE pressp le principali frontiere del Paese [...]. Tra i compiti istituzionali della Banca d'Italia vi è la raccolta e l'elaborazione delle informazioni necessarie per la compilazione della BILANCIA DEI PAGAMENTI DELL'ITALIA". A proposito di pagamenti, il mio intervistatore e i suoi colleghi che con lui conducono indagini statistiche anche per la Banca d'Italia di cui sopra, percepiscono all'ora 6,50 euro lordi. Una vergogna. In cocopro. Uno di loro, in là con l'età, mi spiega che non bisogna condannare quei contratti precari e pulciosi ché sennò lui non lavorerebbe. Poi mi fa un racconto personale di vita e di morte e con gli occhi umidi lo lascio fare altre interviste mica che poi magari non lo pagano neppure quella miseria lì. Superata la muraglia di tassisti cerco dove comprare il biglietto per l'autobus e finisco per chiederlo di proposito a un signore che forse avrà la mia età - quella però l'ho dichiarata esatta ai sondaggisti - e che sta seduto su una delle poltrone di Linate proprio come quei middle class di cui tante volte ho parlato e scritto e come me tanti esimi colleghi: ha lo sguardo perso nel vuoto e la mia missione, ancora accaldata di Sudafrica, è fargli ritrovare un filo da seguire. E gli chiedo dove posso trovare il biglietto. Mi osserva stupito, forse ha capito il mio gioco, ma ci sta: sorride, risponde che non sa ché è di Varese... Lo ringrazio lo stesso, ripete che gli spiace, sorrido e esco verso la fermata della 73 senza perdermi però l'arrivo di tre macchine blu più scorta che mi fa incazzare pensando a quelli lasciati là dentro. Vaffanculo, salgo sulla 73 senza posto per la valigia e dopo fermate sento una signora conla tinta mogano parlare ininterrottamente a mitraglia con una giovane ragazza nera di "chissà quanto ti manca l'Africa" e "perché non vieni da noi, si parla un po', si legge la Bibbia"... Con la testa piena di treccine appoggiata al vetro unto dell'autobus, lei annuisce lentamente, con quella solennità dei gesti al ralentì che hanno solo loro. Tutto il resto è bottigliette e ciccate per terra, piercing che fanno figo e puzza che fa schifo. E uno tutto muscoli e alternativo che ci mette troppo tempo a capire che se mi tenesse la porta aperta gentilmente mi aiuterebbe con il mio carico da trenta chili e che quando lo fa si sente dire che è troppo tardi. Ché una cosa è la lentezza. Un'altra il ritardo. Shock.
Commenti
Posta un commento