La lezione di Mandela
Graca Machel ha detto che "è una grande sofferenza vedere le condizioni di Nelson Mandela andare a peggiorare". Le parole della moglie dell'ex Presidente, del Premio Nobel, del simbolo della lotta all'Apartheid, interpretano un sentimento comune, diffuso, generale. Ancor di più tra la sua gente, i Xhosa, che senza disperare, guardando al cielo e in un punto fisso che non si riesce a interpretare, pregano per Mandela ma non per la sua vita terrena, ma perché la sua anima si liberi, come merita, per trovare la pace. Sarà un giorno di sofferenza, certo che lo sarà, ammette Abongile abbassando gli occhi grandi e lucidi che fino a poco prima sorridevano parlando di lui, di Tata Madiba. Lifa, Nesiwe, Nkosazana e come loro altre donne si ritrovano alla fine di una giornata iniziata alle cinque di mattina: il porridge per la colazione dell'intera famiglia, l'acqua calda quelle che da anni aspettano la municipalità, poi via sul taxi collettivo, ammassate col rischio che il trabiccolo sbandi e si muoia, come capita spesso, tra casa e lavoro.
10 dicembre, i bambini ancora corrono tra le baracche dove si vive con le scarpe appese a un chiodo, dove ci sono più parrucchieri che a Milano, mentre i braai vanno a tutte le ore e i segnali di fumo sono invitanti e inequivoci. Le scuole sono chiuse, la fine dell'anno scolastico è stata suggellata come sempre dll report degli esami di fine anno ed è un disastro. Per i poveri, s'intende: l'80% della popolazione, per lo più neri. Ma il colore della pelle doesn't matter: se sei ricco fai quello che vuoi. Gli altri, invece, non sanno fare di conto, non sanno parlare l'inglese: i primi tre anni di scuola, come vuole il Governo, devono imparare solo la propria mother tongue. Poi non capiranno il resto. E alla fine di ogni anno scolastico di celebrerà il rito delle statistiche scioccanti: nessuno farà nulla e intanto si rizzeranno i peli davanti ai numeri della disoccupazione, delle violenze domestiche, degli omicidi.
Il 10 dicembre dunque i bambini corrono ancora nelle vie impolverate delle township e la loro presenza rimbomba dei click di questa lingua tonale che non capita di rado di chiedersi se stiano parlando o cantando a cappella. E le loro mamme, fasciate dentro imprevedibili abbinamenti di tessuti, colori e fantasie che indossano tutti i giorni tranne la festa - quando sfoggiano tailleur eleganti impreziositi da sgargianti cappelli da regine ai matrimoni reali - pregano preghiere animiste lasciando per un momento sul comodino i testi sacri delle mille religioni affabulatrici. Pregano nel loro intimo per Tata Madiba, perché smetta di soffrire. Perché le pene del suo corpo abbiano fine. Perché non debba vedere cos'è oggi il suo Paese. Per la sua liberazione. Un'altra.
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