Bidelli, operai e teroni
Cara Anna,
vivo lontano ormai e al prossimo giro, non mancano molti giorni, non potrò votare. Non che ne avessi intenzione, sia chiaro.
Ma dopo la tua affermazione uscita dal cuore, mi sarebbe proprio piaciuto recarmi a prendere la mia scheda di elettore residente all'estero: e con calma - dopo quattro rilassati passi dentro la calura estiva sudafricana, magari un caffè single espresso e due chiacchiere con la cameriera how are you madame today? I'm fine, thank you and you?, un saluto educato al parcheggiatore con la pelle nera lucida che riflette questo sole potente e sorrisi da good morning, have e nice day - sì, mi sarebbe piaciuto prendere la mia scheda e dispiegare con tempi sudafricani tutti quei simboli e simbolini e con la matita d'ordinanza scriverti, altrettanto dal cuore, Troia! "Con tutto il rispetto per un lavoro importantissimo" riporto testuale.
Non ne abbiano gli amici non avvezzi a questo linguaggio da scaricatore di porto ma d'altronde sono figlia di una bidella e mi ricordo negli anni '80 - quando avevo 15 e pochi più anni in un mondo di Paninari - una mia amica che si vergognava di avere anche lei la madre bidella e che chiedeva a me di non dirlo. Mai e a nessuno!
E invece io mi divertivo a dichiarare che mia mamma faceva la bidella ed è pure terrona: sacrilegio!
Non erano solo gli anni delle Timberland pagate il triplo che in Ammerica e delle squinzie, anzi delle Preppy ma anche della Lega che cominciava a prendere voti e poltrone e soprattutto teste e coscienze. Mia mamma è bidella è pure terona! dicevo sperando di scremare i coglioni col Monclair, i capelli irrigiditi dal gel e i boxer con i pupazzetti. E invece non succedeva niente, non gliene fregava un cazzo perché mica tutti erano figli di industriali - con la fabbrichetta o la multinazionale - o di avvocati, banchieri, commercialisti e nemmeno di negozianti d'alto bordo. A mie spese avevo purtroppo scoperto che non erano davvero classisti né razzisti come si andava dicendo e scrivendo. Anzi, finii per ritrovarmi attaccati al citofono sotto casa nuovi amici, più di quanto la mia misantropia congenita non potesse sopportare.
Io dal canto mio indossavo un Henry Lloyd, bianco fuori e azzurro dentro, solo perché mi piaceva da morire e infatti durò a lungo anche oltre la moda, fino a un mio lavaggio in lavatrice che mi insegnò a non mischiare colori così diversi nella macchina per lavare, che pur sempre macchina rimane anche se col programma più delicato possibile. Indossavo l'Henry Lloyd e leggevo Repubblica e il Manifesto, l'Espresso e Avvenimenti: li collezionavo tutti in una mia personale emeroteca nella cantina di casa, con altre testate aggiunte di giorno in giorno a seconda del titolo di prima pagina: finché arrivò quello in cui mio padre - che faceva l'operaio - mi disse: o tu o tutti quei giornali uscite di qui!
Sì cara Anna, mio padre faceva l'operaio. Hai presente? O ti sei fermata per ora solo alla B di Bidella nell'elenco delle professioni strane?
Mio padre faceva anche il sindacalista e mi ricordo quando andava a lavorare il sabato mattina - io ero piccola e c'erano le tute blu e la nebbia, ancora. Ricordo poi quando il sabato divenne "straordinario" e mi ricordo anche dei suoi colleghi ai quali aveva pure dato soldi a fondo perduto, perché non riuscivano ad andare avanti con tutta la loro famiglia, i figli da mandare a scuola, l'affitto da pagare, la moglie donna delle pulizie - quante donne delle pulizie hai avuto nella tua vita, Anna? e ti prego ora non intervistatele per far loro dire di quale padrona amorevole e buona sia, la Signora Anna.
Cara Anna, mio padre stava per andare in pensione quando il primo governo tecnico - Lamberto Banca d'Italia Dini - decise per una riforma che dissero necessaria per il futuro del Paese e inchiodarono operai, bidelle, disgraziati vari al loro ruolo per più anni ancora. Esattamente la stessa regola per parlamentari, ministri e scalzacani piazzati nelle aziende pubbliche, private, partecipate, d'altronde. Fino alla fine. Il ministro al lavoro era tale Tiziano Treu: ti dice nulla, Anna?
Ma mio padre ormai la pensione la voleva: si ribellò, come gli era consono, si ammalò di cancro e morì in pochi mesi e così rimase solo la bidella con la reversibilità, cara Anna. Era il 1992 e io non avevo più un leghista per protesta con il quale litigare in casa guardando Samarcanda. Voi comunisti, mi diceva... Io intanto facevo convintamente il possibile per la campagna elettorale di Nando Dalla Chiesa sindaco di Milano. Era il 1993. E fu l'ultima volta.
Poi arrivò il 1995 e io rimasi di sale, non riuscii ad andare più al circolino del mio paesiello brianzolo dove erano tutti tristi di dover tirare il carretto in processione con sopra un perfetto sconosciuto a nome Diego Masi. Possibile i gloriosi comunisti non avessero uno di meglio da proporre? Fu così che iniziò la carriera politica dell'onorevole Masi, premiato negli anni a seguire sia dalla sinistra che dalla destra per aver perso contro Roberto Formigoni che sarebbe rimasto incontrastato Presidente di Regione e Governatore nei secoli e secoli amen.
La delusione di quell'anno fu confermata a ogni benedetta tornata elettorale e tutte le volte mi ostinavo e vi ripromettevo - andando il giorno delle elezioni al mare - che sarei stata contenta di tornare a votare nel momento in cui aveste riproposto un'idea di società.
Non di alta società, Anna. Di società, avevo detto.
Con profonda disistima, che crescerà in ordine proporzionale alle rettifiche che seguiranno,
Lorella
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