I soldati impreparati del Sudafrica nelle guerre del continente
13 morti, 27 feriti, 1 disperso: ai numeri delle perdite delle truppe Sudafricane nella Repubblica Centrafricana ora seguono le polemiche, le critiche, le accuse. La domanda che più viene fatta qui adesso è di chiarezza: cosa ci facevano i militari Sudafricani nella CAR, la Central African Republic?
Ieri il presidente Jacob Zuma ha parlato di rafforzamenti dell'esercito Centrafricano con fanteria, artiglieria, reparti speciali e logistic training. Ha detto anche di protezione ai target sensibili Sudafricani, alle basi militari della Rainbow Nation.
"It's a joke", "Rubbish", insomma tutte cazzate dicono i soldati da Bangui. La capitale è nel caos più completo e ora è ovviamente il tempo delle accuse. Una di queste è che il Sudafrica fosse lì a sostenere Francois Bozize, il dittatore. O meglio, l'ennesimo dittatore africano. Di più, l'ennesimo dittatore africano destituito da ribelli che si richiamano all'Islam estremista. Tutti sapevano dell'appoggio sudafricano a Bozize tanto che nel trattato di pace firmato con tanta difficoltà qualche mese fa a Libreville, capitale del Gabon, uno dei passaggi era proprio il passo indietro di Sudafrica e Uganda.
La Storia è sempre più complicata delle opinioni che si possono esprimere da lontano.
Giulio Albanese, nel servizio per la Radiovaticana spiega così la situazione:
Michel Djotodia, leader dei famigerati ribelli del Seleka, la coalizione armata al potere in Centrafrica da domenica scorsa, ha praticamente sospeso lo Stato di Diritto, costituzione in primis, oltre a governo e parlamento, precisando che da questo momento in poi le leggi verranno fatte per decreto. Ora il problema è riuscire a convincere la comunità internazionale sulla presunta necessità di prendere il potere con le armi, costringendo l’ormai ex presidente Francois Bozize a fuggire in Camerun. Anche perché nei combattimenti di questi giorni gli uomini del Seleka, molti dei quali musulmani e mercenari di nazionalità ciadiana e sudanese, hanno commesso razzie a non finire, uccidendo addirittura tredici militari sudafricani e ferendone altri 27, molti dei quali versano in gravi condizioni. Lo ha reso noto il presidente sudafricano Jacob Zuma, definendo gli aggressori banditi a piede libero. Una cosa è certa: la presenza di giacimenti di petrolio (a Birao) e di uranio (a Bakouma) costituisce un fattore di grande instabilità per la sicurezza nazionale. A riprova che gli interessi commerciali sono tali da condizionare il destino di un Paese che continua ad essere ostaggio di nuove e ancora più crudeli forme di colonialismo.
Nonostante le critiche provenienti dai militari Zuma non desiste, anzi la sua ex moglie Nkosazana Dlamini-Zuma ora presidente dell'Unione africana ha espresso la posizione ufficiale della Ua in modo inequivocabile: "Nell'eventualità di un cambio di potere anti costituzionale, l'Unione africana prevede la sospensione delle attività dell'Ua nel Paese, il completo isolamento dei responsabili e l'adozione di sanzioni contro di loro". Insomma l'Unione Africana non riconosce i ribelli.
Petrolio e uranio possono essere le chiavi di lettura di questo nuovo colpo di Stato nella storia breve della Repubblica centrafricana sorta sulle ceneri dell'imperialismo francese, in un'area dove le guerre di bassa ma continua intensità si chiamano crisi dal Sud Sudan al Congo, all'Uganda.
Il Sudafrica per ora non intende ritirarsi, come invece alcuni chiedono. Zuma ha accolto la notizia delle perdite di uomini definendoli l'orgoglio del Paese. Osservatori dell'esercito - il SANDF, South African National Defence Force - però mettono il dito in una piaga più che dolorosa, da queste parti: le truppe Sudafricane sono "senza disciplina, male equipaggiate, impreparate per ogni combattimento". Uno di questi esperti riporta al Dailymaverick un anedotto accaduto a Goma, "quando un colpo di mortaio cadde vicino a una base Sudafricana e metà della truppa chiese di tornare a casa. Erano troppo spaventati per rimanere lì".
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