La Thatcher che non t'aspetti "nemica" dell'Apartheid
Ma Margaret Thatcher appoggiava l’Apartheid? E quella
stretta di mano con Mandela: la Lady di ferro era allora dalla parte dell’Anc?
Le domande oggi me le sono sentite fare addirittura da un’amica sudafricana,
una con un certo ruolo. Un caffè e un pasticcino, due chiacchiere e quei dubbi
che pensavo fossero invece un trucco giocato dai tanti commentatori dei social
network per attaccare post mortem la donna forse più odiata della Storia. Ho
letto imbarazzanti 157 battute (o quante sono quelle di Twitter) di saccenti sotuttoio basati sulla non conoscenza:
loro e di chi li legge. Quella cultura civica di un tanto al chilo di chi non vive di amore per le proprie idee ma del disprezzo per quelli che non le condividono. Han disegnato in rete sputi velenosi sul corpo ancora
caldo sentenziando che chi piange lei non potrà poi piangere Mandela,
richiamando così per di più il precario stato di salute di Madiba che ormai da
due anni fa avanti e indietro dall’ospedale, l’ultima volta pochi giorni fa.
Non sono una storica e non voglio nemmeno atteggiarmi. Metto
insieme però solo alcuni dettagli da qui, dove s’impara che le cose non sono
mai o tutte bianche o tutte nere come la retorica degli opposti fronti
vorrebbe. E poi più che dare lezione ho delle domande, nell’assemblare le
tessere del puzzle della geopolitica di tutti i tempi che le anime belle
pensano di far fuori con poche sprezzanti righe.
Si sono in tanti attaccati a quella frase, riportandola
peraltro male, che la Thatcher pronunciò nel 1987 “L’ANC è una tipica organizzazione terroristica: chiunque
pensi che governerà il Sudafrica, vive di utopia”. L’orrida conservatrice
contro i compagni neri sudafricani: certo anche la cifra comunista dell’ANC e
di Mandela aprirebbe un altro capitolo, ma faccio finta che il mondo fosse e
sia diviso in due fronti. Eppure nel 1979
il Primo Ministro britannico era a Lusaka non solo a stupire il mondo ballando
con il Presidente Kenneth Kaunda – come testimoniarono le foto del tempo – ma
anche per cercare di mettere fine alla guerra in Rhodesia. Portato alla
vittoria il dittatore Robert Mugabe, ancora oggi marxista e al potere in uno
Zimbabwe povero e disperato, i soldati della Regina vennero impiegati
nell’addestramento dei mozambicani militanti del Frelimo che combattevano
contro i connazionali del Renamo: comunisti i primi, conservatori i secondi. La
Thatcher visitò lo Zimbabwe di Mugabe e rese omaggio alle proprie truppe
appunto impegnate a formare dei comunisti. Il Mozambican National Resistance,
il Renamo, era appoggiato dal Sudafrica e non solo aveva combattuto contro il
Frelimo ma anche contro il movimento Zanu di Mugabe. Quindi i soldati della
Thatcher addestravano i guerriglieri che combattevano contro il sistema bianco
Sudafricano. Un dettaglio che dovrebbe far schizzare tutti gli schemi degli
scrittori di epitaffi col sangue altrui.
Nel 1982 Mugabe andò a Londra per essere ricevuto a Downing
Street: lì chiese all’”amica” Thatcher di adoperarsi per la liberazione di
Mandela.
Nel 1984 il Prime Minister britannico e il Presidente USA
Ronald Reagan, un altro scomodato in questi giorni, cominciarono a fare un
pressing sul Presidente sudafricano P.W. Botha e sul suo governo per la
liberazione di Mandela e per l’avvio di trattative con la maggioranza nera del
paese. Alla fine di un incontro con la Iron Lady, sempre quel 1984, il Primo
Ministro sudafricano confidò al suo Ministro della difesa Kobie Coetsee: “Ci
siamo messi in un angolo”. Nel 1985 il governo sudafricano metteva in agenda
l’apertura di dialogo con l’ANC, anzi con Nelson Mandela. Il primo passaggio fu
la decisione da parte di Coetsee di spostarlo dalla sezione del carcere di
Pollsmoor che condivideva con altri eminenti esponenti dell’African National
Congress – tra cui Walter Sisulu – in un’altra più spaziosa area. I compagni di
partito se ne ebbero a male: Mandela li rassicurò ma lì “cominciò la sua
personale strategia di mediazione autonoma, informando solo in seguito il
partito” come scrive uno dei più importanti notisti politici sudafricani, Max
Du Preez.
Mandela ascoltò i suoi solo nel 1990, quando una volta
libero, si recò a Londra e non incontrò Margaret Thatcher come la maggioranza
dell’ANC gli aveva chiesto di fare: in seconda battuta, qualche mese dopo, però
si mosse in autonomia e da lì nacque una delle più famose e fotografate strette
di mano storiche.
Il rand sudafricano valeva allora 0.23 sterline inglesi,
contro i 0,56 del 1984, i 0,07 attuali.
Mandela evitò la guerra civile del suo paese come era stato
nel resto dell’Africa grazie al processo di Riconciliazione e scongiurò il
crollo dell’economia sudafricana: aprì la mente e le braccia, non cercò
vendette né inseguì facili demagogie. Lui.
In “Conversazioni con me stesso” scrive di quei primi tempi
da Presidente alle prese con importanti decisioni di politica economica: “C’era già stata una reazione furiosa in
Sudafrica sull’affermazione che avevo fatto in prigione, dicendo che la
nazionalizzazione faceva ancora parte della nostra politica. Naturalmente ci fu
una reazione dal mondo degli affari e quella reazione mi fece pensare che è
importante avere il sostegno del mondo del business […] Il momento decisivo fu
quando partecipai al World Economic Forum di Davos dove incontrai i maggiori
leader industriali del mondo che fecero in modo di esprimere con chiarezza le
loro opinioni sulla questione della nazionalizzazione, e mi resi conto, come
non mai, che se volevamo degli investimenti dovevamo rivedere la nazionalizzazione
[…] dovevamo annientare il timore del mondo
economico secondo cui il loro patrimonio sarebbe stato nazionalizzato”.
Le nazionalizzazioni non si fecero. Anzi, il capitale
privato entrò più che mai e più che mai iniziò a fare quello che voleva. Con la
globalizzazione e i suoi effetti devastanti che già si vedono in quasi
vent’anni di Rainbow Nation.
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