La guerra fredda Usa-Cina e il Sudafrica che ha tradito Mandela
Pubblicato sul numero di Tempi in edicola dal 27 giugno 2013 - Testi (e foto) Lorella Beretta
Senegal, Tanzania e poi, inaspettatamente, giu' fino il punto piu' meridionale nel continente africano, in Sudafrica: una rotta singolare quella del viaggio africano dell'americano Barack Obama, da oggi al 3 luglio. Tanto che il Daily Maverick, uno dei migliori siti d'informazione della Rainbow Nation, si e' sentito di ironizzare: “non si capisce se il Presidente americano abbia incluso il Sudafrica nell'itinerario per via dell'importanza politica ed economica del paese nel continente o perche' Charlize Theron recentemente si era offerta di fargli da guida”.
Al di la' dell'ironia la risposta e' complessa e investe
ragioni strategiche in un mondo
dominato dall'economia e dalla finanza, fino alla politica.
La guerra fredda non c'e' piu',
sparita con le ideologie, ma blocco orientale e occidentale si
contendono il dominio delle economie del mondo in via di sviluppo. Il
Sudafrica e' il paese piu' appetibile nel continente africano: unico
a non essere destabilizzato da alcuna guerra civile e' anche uno dei
piu' ricchi di materie prime pregiate – nel 2012 il valore stimato
delle riserve minerali era di 2,5 trilioni di dollari – e per di
piu' con un'ampia propensione al consumo da parte della maggioranza
della popolazione povera ma disposta a dilapidare la paga settimanale
non appena intascata. Il venerdi' pomeriggio e' uno sciamare di neri
ben vestiti e festanti fuori dalle rivendite nelle township e
soprattutto dentro i grandi supermercati – per lo piu' con
capitale nord europeo come la catena Spar: ma la coda si allunga
inaspettatamente fuori dalla miriade di piccoli e grandi negozi
gestiti da cinesi che nelle aree rurali stanno velocemente
conquistando il monopolio dei superette, le drogherie che vendono di
tutto nel mezzo del nulla di centinaia di chilometri di sterrato.
Nelle citta' aprono cattedrali del consumismo: in due anni solo a
Citta' del Capo sono stati aperti tre mega China Town, migliaia di
metri quadrati di ogni merce cheap – dai biberon ai vestiti
all'arredamento – tassativamente prodotti nelle fabbriche cinesi.
Nel settore del commercio nel frattempo, nonostante le iniziali
barricate dei venditori al dettaglio locali, si e' fatto breccia
anche WalMart, il gigante americano della distribuzione.
22miliardi di dollari e' il volume dei
rapporti commerciali tra USA e Sudafrica che rimane il principale
importatore di prodotti americani nel continente.
Ma negli ultimi sei anni gli
investimenti cinesi in Sudafrica sono cresciuti del 400% e il valore
degli scambi tra i due paesi e' esploso arrivando nel 2012 a
60miliardi di dollari. Ancora piu' che nell'agricoltura – terreno
di conquista nel resto del continente ma qui ancora in mano ai farmer
bianchi – l'ombra del Dragone si allunga sulle estrazioni
minerarie, sul tessile, sulla produzione di energia e sulle ferrovie.
Un'invasione benedetta da Jacob Zuma, Presidente del Sudafrica fino
all'anno prossimo quando potrebbe perfino non essere ricandidato
dall'Africa National Congress, il suo partito che una volta fu di
Nelson Mandela. Il confronto con il leader della lotta all'Apartheid
e' perdente, esattamente come lo sono state le elezioni
amministrative negli ultimi anni: una calo di consensi che sembra
destinato a non arrestarsi anche alle presidenziali. Zuma e' poco
amato anche tra i neri che lo accusano di aver pensato solo ad
arricchirsi: addirittura stanno iniziando a pensare, e a dirlo ad
alta voce, di non votare piu' ANC, che per loro rimane “il partito
di Mandela”, girando la preferenza alla Democratic Alliance, il
principale partito di opposizione. In piu' al Congresso di dicembre –
dove le sgargianti magliette rosse dei militanti erano Made in China
– e' stato nominato suo vice Cyril Ramaphosa, braccio destro di
Nelson Mandela nelle trattative con gli Afrikaner
per l'uscita dall'era dell'Apartheid, ma prima ancora
fondatore del principale sindacato dei minatori, il NUM, e infine uno
dei piu' ricchi businessman sudafricani, con quote anche nella
Lonmin, la multinazionale inglese proprietaria delle miniere
diventate tristemente famose per la strage di minatori dell'agosto
dell'anno scorso. In una conversazione tra l'Ambasciatore americano e
quello di Israele, resa pubblica da Wikileaks, alla domanda su chi
fosse il politico sudafricano piu' affidabile, date le difficili
relazioni tra i paesi, il nome fu proprio quello di “Cyril
Ramaphosa”. Non e' un caso se il New York Times a gennaio ha
pubblicato un lunghissimo articolo che nel titolo si chiedeva se
fosse lui “il miglior leader che il Sudafrica non ha ancora
avuto?”. Ovviamente sempre e solo dopo Mandela. Ramaphosa piace
alla gente che piace ed e' da mesi che i principali osservatori
economici e politici lo indicano quale futuro presidente. Zuma vanta
piu' di 700 denunce per corruzione e l'ultimo grosso scandalo per il
quale e' sotto indagine riguarda i 250milioni di euro di soldi
pubblici che avrebbe speso per ristrutturare una delle proprie
residenze, Nkandla. Intervento necessario per ragioni di sicurezza,
ha spiegato piu' volte il suo portavoce. Il procuratore Thuli
Madonsela dovra' indagare anche sulla notizia diffusa dal
Mail&Guardian durante il vertice dei BRICS a Durban, lo scorso
aprile, circa la costruzione di una residenza anche per il neo
presidente cinese, Xi Jinping.
Altro strano incrocio al vaglio della
magistratura e' quello tra uno dei figli di Zuma, Duduzane, con i
miliardari indiani Gupta e la China Railways Construction che ha
vinto un appalto pubblico di 500miliardi di rand sudafricani, piu' o
meno 500milioni di euro, per ammodernare e costruire ex novo gli
scambi ferroviari nel Gauteng: i treni, costruiti in Cina, sono
fondamentali per il trasporto dei minerali estratti nel nord del
Sudafrica. Anche in questo settore la presenza cinese e' cresciuta
senza sosta, con l'aumento di quote azionarie e con numeri da record
come il 47% dell'export di ferro grezzo sudafricano. Ad agosto
dell'anno scorso, arrivo' Hillary Clinton in visita ufficiale che
sbotto' in una poco diplomatica accusa alla Cina di essere “il
concorrente piu' aggressivo e senza morale”. Il segretario di Stato
americano non manco' un fotografatissimo incontro con Nelson Mandela
anche se il cuore della trasferta era il supporto alle piu'
importanti aziende USA in Sudafrica, dalla Anglo-American – 76mila
posti di lavoro – alla Boeing, FedEx, Walmart, Chevron. C'era anche
il rappresentante della Symbion che a febbraio ha acquistato il 75%
di EJ Power, contractor della trasmissione e distribuzione di
energia, uno dei settori piu' critici e piu' interessanti del
Sudafrica, oggi. Anche all'inizio di questo inverno, infatti, la
societa' elettrica Eskom ha lanciato un appello chiedendo una
riduzione dei consumi di almeno il 10 per cento: la prima settimana
di giugno, sotto la perturbazione proveniente dal polo sud, si era
arrivati a grattare le riserve energetiche. Uno dei segni del
fallimento delle politiche economiche post-Mandela, se si pensa che
negli anni '80 il Sudafrica esportava energia e nel 1990 produceva
piu' del 60% del totale generato nel continente africano. In piena
emergenza, il settore della produzione energetica – e la fornitura
alla maggioranza della popolazione – e' il nuovo campo di
conquista: aziende da tutto il mondo, italiane comprese, stanno
partecipando alla costruzione di una rete di energia pulita
attraverso lo sfruttamento di sole e vento. Il piano costera' alla
fine 5miliardi e mezzo di dollari e aiutera' il Sudafrica a scendere
dai primi posti della classifica dei maggiori produttori di gas a
effetto serra del pianeta. Sull'altro fronte entro il 2030 verranno
costruite sei nuove centrali nucleari: la prima – parte
dell'appalto da 10milioni di euro – e' stata assegnata in questi
giorni a una societa' sudafricana con partecipazione francese nel
capitale societario. In lizza per gli altri impianti ci sono
ovviamente Cina, Stati Uniti e Giappone assieme, Sud Corea e Russia.
Putin e Zuma hanno stretto negli ultimi anni una decina di accordi in
vari settori, dall'educazione alla pesca, dall'energia ai trasporti.
Le simpatie del presidente sudafricano per il blocco orientale –
comunista, si sarebbe detto una volta – sono evidenti. Per questo
l'arrivo di Obama in questa fase non puo' che essere letto con la
lente della geopolitica 2.0. Il che include anche che il presidente
di turno dell'Unione africana e' Sudafricano, anzi, e' l'ex
moglie di Zuma, Nkosazana Dlamini-Zuma.
E' articolato il quadro che ritrae la
vera partita che si sta giocando e che si giochera' in Sudafrica di
qui all'anno prossimo, quando si celebreranno le presidenziali nel
pieno dei festeggiamenti del ventesimo anniversario delle prime
elezioni democratiche segnate dalla vittoria di Nelson Mandela. La
sua immagine e' un'icona venerata, come si fa con i santi, e mai come
in questo momento strattonata dai partiti che ne contendono
l'eredita' o bistrattata da quelli che ora lo accusano di essere
stato troppo buono con i bianchi mentre la maggioranza della
popolazione – quei neri liberati vent'anni fa – si sente tradita
e abbandonata: tra di loro la disoccupazione e' al 45%, l'aspettativa
di vita scesa a 53 anni, la vita e' sempre piu' pericolosa nelle
distese di baracche che si allargano a macchia d'olio, mentre si
riaccendono le proteste di minatori e agricoltori contro le paghe da
fame e la poverta' dilagante, mentre per la stragrande maggioranza
degli studenti il futuro non si preannuncia migliore, senza aule ne'
insegnanti capaci di insegnare. Osservando le “rivolte” nel nord
Africa la domanda che pone ora l'analista economico Moeletsi Mbeki
e': a quando in Sudafrica? La sua risposta e' precisa: nel 2020, anno
in cui la Cina ha fissato la fine dello sfruttamento delle ricchezze
minerarie e degli investimenti nel paese. A meno che non si cambi
rotta. E forse e' proprio questo l'intento della visita in Sudafrica del Presidente
americano.
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