Mandela tradito, Arcobaleno corrotto



Italia Caritas settembre 2013 

Mandela tradito, Arcobaleno corrotto
foto e testo lorella beretta

Al capezzale del suo padre fondatore, il Sudafrica scopre di non averne realizzato il messaggio di giustizia e speranza. Povertà, welfare, istruzione, legalità: il paese, ricco di risorse minerarie e naturali, sta peggio di quando si mise alle spalle l’apartheid


«Il più grande regalo che Mandela abbia fatto a questa nazione è la libertà»: le parole di Graca Machel – moglie dell'icona dell’antiapertheid, padre del Sudafrica arcobaleno – sono le stesse usate da Tandeka, domestica infaticabile, con l’unico obiettivo di dare una buona istruzione e un futuro migliore ai propri figli. Graca e Tandeka hanno in comune il rispetto vero nei confronti di Tata Madiba, il carismatico leader strattonato, sul letto di morte, da chi si vuole accaparrare la sua eredità politica, quella morale e soprattutto quella patrimoniale. Tandeka ha cresciuto quattro figli in una shack (baracca) di lamiera e ora vive finalmente in una casa in muratura sempre in township, ma aspetta da quattro anni per l’acqua calda. «Colpa della corruzione − dice −. Pensano ad arricchire sé stessi; sfrecciano con le macchine di lusso ai bordi delle baraccopoli, dove le condizioni di vita sono sempre più difficili, totalmente dimentichi del loro popolo e dei valori di Madiba».
Violenza incontrollata, corruzione sfrenata, istruzione povera, sanità pericolosa, infanzia senza un futuro e un presente che fa paura. E un’economia da sempre ricca, eppure ora in recessione rispetto ad altri paesi africani. Il Sudafrica di oggi ha tradito i valori che hanno segnato il lungo cammino verso la libertà, guidato da Nelson Mandela? Per capirlo, può essere utile confrontare alcune citazioni del grande leader con la realtà odierna del paese: si scopre che molte speranze divampate con la fine dell’apartheid, nel 1990, e il susseguirsi di governi dell'African National Congress, il partito fondato da Mandela, sono state deluse. Se non per una ristretta cerchia di nuovi ricchi, insensibili alle sorti della loro gente.

L’infanzia ai margini
Per capire la vera anima di una società non c’é modo migliore che guardare a come tratta i propri bambini (Discorso sull'infanzia, Worcester, 1997)
Su 19 milioni di minori residenti, 11,5 vivono in povertà: «Il Sudafrica è uno dei paesi con la maggiore diseguaglianza sociale», chiarisce Aida Girma (Unicef). I bambini poveri sono figli dei 10 milioni di persone che ricevono ogni mese un assegno di 270 rand, più o meno 25 euro. E dire che il costo della vita in Sudafrica non è molto più basso che in Italia, e che l’inflazione naviga attorno al 6.5%. Così torme di bambini nascono e crescono nelle township, tra viottoli sabbiosi sui quali le uniche ombre sono quelle delle shacks in cui vivono: venti metri quadrati di lamiera e assi di legno vecchie e riciclate. I più fortunati vanno a scuola, se così si possono chiamare gli edifici scrostati e i container nei quali vengono ammassati banchi e bambini di tutte le età, affidati a insegnanti impreparati. Gli altri vengono usati in ogni modo dalla microcriminalità. Quando riescono, corrono a giocare a calcio nei pochi spazi verdi che si stendono nei pressi dell’altro mondo, quello dei quartieri del benessere e della ricchezza di pochi: lì si interrompe bruscamente l’ammasso di casette che tremano a ogni folata di vento, che si surriscaldano sotto il sole cocente, che diventano trappole mortali quando si prova a contrastare il freddo bruciando qualsiasi materiale combustibile.
Sono almeno 5 milioni i minori sudafricani totalmente privi di accesso all’acqua potabile, a servizi igienici propri o a qualsiasi altro servizio minimo. La mortalità infantile è tra le più alte al mondo, al 65,6 per mille (dato della Banca Mondiale). Ma soprattutto, come denunciato in un rapporto delle Nazioni Unite, negli ultimi 23 anni non ci sono stati progressi significativi: i 58 mila bambini sotto i 5 anni morti nel 2011 sono il 20% in meno rispetto al 1990, contro una riduzione mondiale del 30% nello stesso arco di tempo. Mancanza di fognature e acqua corrente, promiscuità nella condivisione dei bagni pubblici e malnutrizione sono tra le cause principali della mortalità infantile. E «In Sudafrica l’alta diffusione dell’Aids e l’insufficiente impiego delle cure esistenti hanno avuto un impatto negativo», ha sentenziato l’Onu, chiedendo al governo attuale, guidato da Jacob Zuma, di implementare prevenzione e assistenza. Più di 5 milioni di minorenni sono sieropositivi e si stima che ogni anno almeno 300 mila bambini nascano con il virus dell’Hiv. Dei 4 milioni di orfani del paese, poco più della metà lo è a causa dell’Aids. «La maggior parte di costoro è talmente povera che non può permettersi di venire tutti i giorni in ospedale per sottoporsi ai trattamenti», spiega Harry Hausler, direttore sanitario della TB Care Association. Molti non sanno neppure di che malattia soffrono, semplicemente perché non sono mai andati da un medico o non hanno avuto una buona diagnosi.
E l’infanzia non è negata solo ai malati: ci sono i bambini che a dieci anni entrano nelle baby gang, e migliaia di madri adolescenti. Una ragazza su tre ha avuto un figlio prima dei 20 anni, mediamente a 15. L’80% è rimasta incinta in seguito a un rapporto forzato (60%) o a uno stupro (20%).

La salute privatizzata
Questi numeri sono sconcertanti. Incomprensibili. Stiamo combattendo con la più grossa emergenza sanitaria nella storia dell’umanità (conferenza sull’Aids a Parigi, 2003)
La diffusione dell’Hiv in Sudafrica è stata devastante: in certi periodi cresceva al ritmo di quasi 1.100 nuove infezioni al giorno. Solo due anni fa, anche grazie a un programma americano di diffusione dei farmaci retrovirali, è cominciato un rallentamento: ma tra il 1997 e il 2011 la mortalità nazionale è aumentata dell’86%, soprattutto a causa dell’Aids e delle malattie a esso connesse.
L’aspettativa di vita oggi è di 52 anni: nel 1990 era di 60. La sanità (pubblica) sudafricana è passata dagli onori internazionali per il primo trapianto di cuore (Groote Schuur, Città del Capo, 1967) a quella che oggi Tandeka, di fronte alla madre con gli stessi preoccupanti sintomi, con postura rassegnata bolla così: «Nei nostri ospedali (quelli dei poveri, ndr) entri, ma non sei sicuro di uscirne vivo: per questo cerchiamo di andarci il meno possibile». Scuote la testa, la donna, e pensa ai sei funerali in famiglia nell’ultimo anno: sorella, cognato, nipote. Tutta gente giovane, 50 anni e meno. Morti non si sa bene di cosa. Addirittura, la mortalità tra le partorienti è perlomeno raddoppiata – raddoppiata! – dal 1990.
I ricchi invece hanno le assicurazioni private e le cliniche dove ci sono i migliori medici: si stima che solo poco più di 8 milioni di sudafricani – su 52milioni – possano permettersi un’assistenza sanitaria di alta qualità. Il paradosso è che le facoltà di medicina sono tra le migliori al mondo e sono sempre di più anche gli iscritti nordeuropei o americani: le tasse universitarie sono più convenienti e la qualità della formazione è di altissimo livello. Ma una volta laureati, se ne vanno. O trovano posto nel privato. Negli ospedali pubblici, si continuano ad assumere gli altri, in base a criteri come il colore della pelle, non in base alla professionalità. Per questo tra i poveri spopolano i sangoma, i “medici” tradizionali: più stregoni che scienziati.

La povertà galoppante
Vincere la povertà non è un gesto di carità. È un atto di giustizia. È la protezione di un diritto umano fondamentale, il diritto alla dignità e a una vita decente (discorso contro le povertà, Trafalgar Square, Londra, 2005)
«La verità è che le persone sono affamate, fanno fatica a comprarsi da mangiare, anche quando ricevono gli assegni sociali del governo non ce la fanno»: la voce femminile alla radio ha il tono pacato della pazienza sudafricana e la pronuncia morbida e allungata dei neri. Sulle frequenze di CapeTalk567 si parla delle ultime statistiche sulla povertà nel paese: i poveri spendono il 60% delle loro entrate per il cibo. Sono i giorni in cui fa il giro del mondo la donazione di quasi 1 milione di euro fatta da Patrice Motsepe, uno dei più ricchi miliardari neri sudafricani e anche l’unico africano a essere entrato nel Giving Pledge, il gruppo di filantropi cui si è ammessi a suon di milioni di donazioni. L’ingente cifra verrà divisa tra due delle comunità colored di Città del Capo.
Motsepe è diventato ricco sfruttando le risorse naturali del suo paese: nickel, ferro, cromo, manganese, carbone, rame e oro. Insomma, i più costosi minerali. La sua Arm, African Rainbow Minerals, non è risparmiata dalle rivendicazioni salariali da parte della massa di lavoratori pagati una miseria e ammassati nelle township sorte in mezzo al nulla attorno alle miniere del nord. Anche quest'anno ad agosto sono riprese le proteste che l’anno scorso finirono in un bagno di sangue, con 34 minatori della Lonmin uccisi dalla polizia nel giro di poche ore. E anche quest'anno a luglio, quando ripartono le contrattazioni per le modifiche dei contratti, i lavoratori di tutti i settori si sono messi sul piede di guerra.
I prezzi galoppano – non solo quelli del cibo, ma anche dell’elettricità, sempre più insufficiente per il consumo nazionale –, mentre gli stipendi si alzano di poche decine di rand all’anno. Il numero di persone che ricevono sussidi è superiore a quello di chi ha un lavoro: ogni 100 dei primi ce ne sono 90 dei secondi. Il 70% dei 5 milioni di disoccupati ha tra i 15 e i 34 anni. Alla crescita economica continua non si è accompagnato un aumento dell’occupazione, e adesso gli investimenti internazionali stanno calando: colpa della corruzione, spiegano gli analisti.

La corruzione sovrana
Tra le maggiori sfide del nostro paese ci sono il crimine, la disoccupazione e la corruzione (discorso al Freedom Day, 1999)
Il 50% dei sudafricani ha pagato almeno una tangente. Almeno 300 milioni di euro di soldi pubblici non vengono incassati, ogni anno, a causa della corruzione. Alla notizia dell’ultima rilevazione sulla corruzione, la Camera di commercio e industria del Sudafrica ha lanciato a giugno un urlo di disperazione, chiedendo un giro di vite. Hanno fatto eco sindacati, partiti di opposizione e persino il presidente Zuma, che ha 700 accuse sulle spalle, compreso l’ultimo recente scandalo: avrebbe usato 20 milioni di euro di denaro pubblico per ristrutturare la propria residenza principale. A nulla sono valse le richieste di chiarimento in parlamento, le centinaia di articoli indignati, le accuse dell’opposizione.
Intanto la corruzione è la scusa con la quale il governo spiega le condizioni di arretratezza dei servizi pubblici essenziali rivolti alla massa di poveri dimenticati. Avvocati, magistrati, poliziotti, amministratori pubblici: scandali e arresti si susseguono ogni giorno. Nel 2008, addirittura, è stato condannato per corruzione il management della prigione di Robben Island, luogo della lunga detenzione di Mandela. Un’indagine sociologica, a luglio, ha fatto emergere che l’83% dei sudafricani considera la polizia l’istituzione più corrotta. Non una bella sensazione, per chi deve sopravvivere tra strade accecate dalla violenza come dal sole.
A Khayelititsha, la township di Città del Capo che si stima conti 3 milioni di abitanti, la polizia nazionale indaga da un anno senza risultati sulla polizia locale, accusata di non controllare il territorio. Al centro dell’inchiesta sono la mancata prevenzione e l’incapacità investigativa, soprattutto nei casi di stupro, in continuo aumento. E poi il taglieggiamento sui bagni pubblici, la droga a basso costo e alto rischio. «Il tik costa 30 rand (meno di 3 euro, ndr) alla striscia: possiamo consumarne fino a 200 rand al giorno», spiega con orgoglio un componente delle bande criminali di giovani nelle township.
I piccoli gangster iniziano a 10 anni ed entrano in un gorgo fatto di omicidi a sangue freddo: il reclutamento avviene a scuola. Dove nessuno è in grado di intervenire. E dove tornano solo per delinquere. Tanto, da imparare lì c’è ben poco. Non a caso l’istruzione è stata dichiarata un’emergenza nazionale dal governo stesso.

L’istruzione, arma spuntata
L’istruzione è la più potente arma che possiamo usare per cambiare il mondo (discorso all'Universita' di Witwatersrand Johannesburg, 2003)
È il principio più famoso di Nelson Mandela. E anche quello più tradito. La giaculatoria collettiva si ripete ormai da anni, tanto che addirittura la ministro dell’istruzione ha dovuto ammettere fallimenti, sempre ovviamente però con toni autoassolutori. Intanto il 60% dei sudafricani ha passato a malapena le scuole medie.
L’anno scorso fece scandalo la storia – punta dell'iceberg – dei libri di testo finanziati dal governo, stampati ma mai distribuiti dalla società che aveva vinto l’appalto, molto vicina, guarda caso, al presidente Jacob Zuma. Nelle classi spoglie delle scuole povere si sospesero le lezioni, in altre ci si arrabattò in qualche modo. Libri vennero trovati ammuffiti in magazzini abbandonati, o nei letti dei fiumi.
L’80% degli istituti scolastici sudafricani è senza biblioteca, l’80% senza computer. In Sudafrica è obbligatoria l’uniforme, ma spesso le famiglie non hanno i soldi per le pur basse rette scolastiche: ogni tanto qualche ong le regala, altrimenti non si va a scuola. Non c’è forse settore che fotografi più drammaticamente le diseguaglianze. «E per noi neri sarebbe ancora più importante che funzionasse», spiega Nomandla Bongoza, 27 anni, responsabile dei doposcuola per la ong Kuyasa. Il tono è aspro, soprattutto perché il presidente Zuma ha voluto valorizzare le lingue delle singole comunità, quindi i bambini fino alla terza elementare non studiano in inglese: «Noi colmiamo questo buco, perché l’inglese in Sudafrica è la lingua degli affari: come si possono creare professionalità pronte per il mercato del lavoro? Come si fa ad andare all’università?».
Nomandla è molto arrabbiata anche con i metodi di reclutamento degli insegnanti: molti di loro non sono in grado di passare gli stessi test che sottopongono agli studenti. Ed è arrabbiata con le disparità di trattamento nei confronti degli studenti neri: a loro, per essere promossi e accedere all’università, viene chiesto un punteggio inferiore rispetto ai bianchi. Alle elementari basta avere 3 su 10. Una discriminazione “positiva” che «non aiuta però a valorizzare davvero le persone e a prepararle per il lavoro», le fa eco Rachel Jafta, docente di economia all’università di Stellenbosch, che elenca gli incarichi dirigenziali senza copertura e la mancata pianificazione delle infrastrutture e dello sviluppo economico come cause di una «carenza di cervelli». E dire che il Sudafrica è tra i primi paesi al mondo per investimenti nel sistema scolastico, col 5% del prodotto interno lordo. Ma chi vuole un futuro per i propri figli deve strozzarsi con prestiti su prestiti per mandarli alle scuole di città: quelle dei ricchi.


Commenti