I morti in mare: Mea culpa per non dimenticare.




Cosa c'entra la Bossi-Fini? Recitarla nel laico rosario di queste ore di tragedia - altrui - serve solo a lavarsi la coscienza. E' lo stesso inconscio meccanismo retorico dello sgradevole Langone, quello di chi chissa' perche' sbandiera appoggio alla Kyenge e alla Boldrini: che cos'e', un televoto? Che c'entrano queste due? 

Perche' non si riesce invece a stare tutti assieme dalla parte di quelli che son morti ieri e le decine di migliaia di giorni precedenti e di quelli futuri, e non solo al largo delle coste italiane?
Certo, per gli immigrati risucchiati dalle onde spagnole o greche o libiche o turche non si puo' maledire la Bossi-Fini, non lanciare strali ne' freccette agli orridi leghisti che invece a loro volta si eccitano belluini alla vista di una qualsivoglia sfumatura della pelle.    

Bisogna avere la coscienza pulita per pretendere di avere ragione. 
E prima di salire sul pulpito, con un piede sul primo gradino della scaletta che eleva sopra le teste altrui, fare un esame di coscienza, battere il petto e recitare un mea culpa: ci sara', nell'angolo di ogni nostro comportamento, un motivo per sillabare un mea culpa. Di opere e di intenzioni. 

Bisogna, conoscere i fatti prima di dispensare al mondo giudizi lapidari. Prima di abbandonarsi allo stridulo sentimento gratuito dell'indignazione. Bisogna capire. 
L'indignazione e' l'abito della festa cucito a casa che si indossava sopra mutande lise di puro cotone, ma non son più quei tempi e oggi ci si veste tutti i giorni presuntuosamente eleganti con vestiti invece assemblati in capannoni inimmaginabili dove a basso costo si fabbrica il sogno e l'opportunità di scappare altrove su una barca malferma, in container schiacciati in fondo a una nave, o nascosti in un camion o trasportati da navette abusive per migliaia di chilometri dove tutto puo' succedere. Chi parte lo sa, lo mette in un conto che e' pronto a pagare, con la propria vita o la propria dignità: violenze, schiavitù, stupri.
Volete proprio farmi credere che e' solo quando la morte gratta cosi pesantemente alle nostre porte blindate che vi accorgete delle pene del vivere fuggiaschi? Ecco, chiamiamoli fuggiaschi, quali migranti: migrano gli uccelli seguendo le stagioni, vanno, vengono, un po' come migrano gli spiriti romantici. Qui invece si parla di genti che scappano, fuggono, da situazioni di cui non ci degniamo nemmeno di prendere coscienza. E vanno a vivere in paesi ostili, culture diverse, in condizioni dichiarate "disperate" dalle culture ospiti che neppure hanno idea di cosa sia la disperazione vera. 

Le statistiche parlano di almeno 2mila morti nel Mediterraneo ogni anno: solo quelli censiti. Solo quelli in mare. Solo quelli nel mediterraneo. Il mondo e' pieno di fuggiaschi alla ricerca disperata di un posto meno peggiore. 
Per questo imprecare alla Bossi-Fini e' solo un puro esercizio di presenza, una testimonianza di adesione emotiva alla fila troppo lunga di corpi senza nome e senza futuro. 
Per questo imprecare alla Bossi-Fini e' un gesto sterile e per di più di disturbo da quel che e' il cuore della faccenda migratoria che richiede una risposta globalizzata, globale: come non costringere milioni di persone allo sradicamento dalla propria terra per disperazione. Non e' materia di studio, che' il quadro e' chiaro e le misure da prendere sono note: e' una questione di volontà politiche, flebili e non certo sollecitate dalle piccole indignazioni che dalla pancia passano alla bocca e si esauriscono li. Voci che non diventano corali ma che si disperdono nell'individualismo collettivo. 


Imprecare alla Bossi-Fini tra l'altro e' un mirabolante magheggio che offusca la memoria e le responsabilità di nessuno escluso: la legge che porta il nome dei due odiati ministri di uno dei tanti governi Berlusconi, nasce purtroppo dalla costola della ingiustamente dimenticata Turco-Napolitano. Era il 1998, Romano Prodi stava per essere impallinato da fuoco amico, ma i suoi ministri portavano a compimento l'approvazione della prima legge sull'immigrazione che avrebbe dovuto superare l'emergenza e avrebbe dovuto gestire il fenomeno: Livia Turco e Giorgio Napolitano istituirono per la prima volta i CPT, luoghi di detenzione per reati amministrativi. Si chiamavano Centri di permanenza temporanea e poi son stati battezzati Centri di identificazione ed espulsione, CIE. Comunque sempre lo stesso il concetto, sempre le stesse le procedure. 
Una bruttura dal punto di vista umano e anche giuridico, impugnata in varie sedi per una lotta che ha portato non alla chiusura di queste carceri improprie ma all'istituzione del reato di clandestinità. 

Nel 1997, l'anno prima dell'approvazione dell'infausta legge del centrosinistra, il Venerdì Santo si celebro' la morte di 57 immigrati e la sparizione di altre 24 nelle acque del Tirreno dove una corvetta della Marina Militare Italiana, la Sibilla, sperono' un'imbarcazione carica di persone in fuga dall'est Europa: il comandante Laudadio urlava al megafono di tornare indietro. Il premier Prodi, senza mai dismettere il severo sorriso, aveva detto all'Albania: Basta! E Laudadio grattava la gola per dire a quei signori, a quelle donne, a quei bambini che dovevano tornare da dove stavano scappando. Che qui c'erano le elezioni e tanti altri problemi e che ci mancavano i loro... Il libro di Alessandro Leogrande racconta bene l'emblematica vicenda di quel Venerdi Santo quando naufragarono 80 persone per mano nostra. 
Italiani brava gente. 
Mea culpa, Mea culpa...
Lorella Beretta
  


Commenti