Nelson Mandela
"I
will not leave South Africa, nor will I surrender. Only through
hardship, sacrifice and militant action can freedom be won. The
struggle is my life. I will continue fighting for freedom until the
end of my days". 26 giugno 1961.
Nelson
Mandela naque - il 18 luglio 1918 - con il nome Rolihlahla che in
Xhosa significa letteralmente “che tira il ramo di un albero”. Ma
fu lo stesso Mandela a spiegarne il vero senso, con ironico
riferimento al destino scritto nei nomi: troublemaker, crea guai,
attaccabrighe.
Per
i sudafricani è Madiba, il nome del suo clan. Tata Madiba, è il
rispettoso modo con il quale i suoi compagni continuarono a
rivolgersi a lui anche da Presidente: dopo 27 anni di carcere e
chissà quanti di trattative con gli Afrikaner dell’Apartheid,
Nelson Mandela divenne il primo Presidente nero del popolo
sudafricano chiamato per la prima volta tutto a votare il 27 aprile
1994.
Lui
era l'unico che poteva sedersi a un tavolo con i suoi carcerieri:
Mandela era un componente di uno dei rami della famiglia Reale dei
Thembu, che regnava sul Transkei; per studiare aveva lasciato il
villaggio in cui era cresciuto – quella stessa Qunu dove si trova
la sua residenza ufficiale – e si era laureato in legge durante gli
anni dell’Apartheid. Lo aiutarono molto due importanti avvocati
bianchi di religione ebraica presso il cui studio Mandela inizio' a
lavorare. Le occasioni di cui riuscì a godere nonostante le
restrizioni giuridiche e quelle culturali, furono incredibili.
Il
26 aprile 1994 neri e bianchi, colorati e indiani si misero composti
in lunghe code per votare quattro anni dopo la fine ufficiale
dell’Apartheid. Nelson Mandela, quando venne eletto a stragrande
maggioranza, aveva 75 anni e un sogno ancora da portare a termine:
“Tutti assieme dobbiamo costruire una società in cui tutti i
Sudafricani, di tutti i colori, siano liberi di camminare dritti,
senza paura nei loro cuori, sicuri dell’inalienabile diritto alla
dignità umana: una Nazione Arcobaleno in pace con se stessa e con il
mondo”.
Fu
così che nacque la Rainbow Nation, un concetto unico in un paese
reso unico da quel processo unico di Riconciliazione che evitò la
probabile guerra civile già vista in tutti gli altri Stati africani
diventati indipendenti. La Commissione di Riconciliazione fu un
Golgota sul quale salirono vittime e carnefici: fu un’ammissione di
colpa di tutta una Nazione per quelli che avevano sangue sulle mani
da pulire e per quelli che fecero finta di non vedere. Fu in molti
casi una presa di consapevolezza di come il regime della
“separazione” (questo significa apartheid in afrikaans) che si
era via via estremizzato e di come quella convivenza separata si era
avvelenata e radicalizzata. Non ci furono vendette ma rese dei conti
sì: quelle erano già iniziate durante le trattative e Mandela fu
duro nel chiedere almeno quanto De Klerk, l’ultimo presidente
Afrikaner, fu veloce nel concedere. I due, assieme, ricevettero nel
1993 il Nobel per la Pace e guidarono "assieme" il nuovo
Sudafrica: poi l’ex Presidente bianco se ne andò a vivere in Gran
Bretagna mentre il nuovo Presidente nero continuo' a guidare il
popolo sudafricano e a lottare anche contro i suoi compagni di sempre
per cercare di non vanificare decenni di lotta pacifica e di lotta
violenta e quel lungo difficile percorso verso la liberta'. “Non
lodate me per maledire il resto” avvderti' i critici dell'ANC.
Il
Sudafrica che ereditò Nelson Mandela era un paese ricco: ricco di
diamanti e materie prime preziose, di aziende all’avanguardia, di
un sistema sanitario di alto profilo che aveva visto i lustri con il
primo espianto di cuore al mondo a cura di Christian Barnard,
all'ospedale pubblico Groote Schuur di Cape Town. Il rand era forte
sul dollaro e sulla sterlina, l’energia prodotta bastava per il
Sudafrica e buona parte del continente africano, l'esercito era il
meglio addestrato al mondo e in più in quel 1994 gli Springboks
vinsero i mondiali di Rugby e al tifo patriottico dei bianchi si unì
quello orgoglioso dei neri che fino a quel momento avevano
identificato la palla ovale con I loro oppressori. Mentre cercava di
mantenere gli standard economici che il paese aveva raggiunto e
correva in tutti gli angoli del mondo per una rinnovata apertura
internazionale, Mandela evitò il saccheggio brutale e l’umiliazione
dell’avversario: i bianchi detenevano il potere economico e Mandela
non voleva che il Sudafrica per il quale aveva lottato e patito
facesse la fine del confinante Zimbabwe. Cacciare i bianchi come
aveva fatto il dittatore Robert Mugabe, ancora oggi al potere,
avrebbe significato lo stesso destino di depauperamento e di
disperazione per milioni di neri, si sarebbe trasformato in aziende
agricole incolte e seccate dal sole, posti di lavoro cancellati con
un colpo di spugna, inflazione, povertà, fuga. Lo racconta
egregiamente il film Invictus, questo delicato passaggio: la
ricostruzione di Clint Eastwood è precisa nei minimi dettagli. Il
Presidente Mandela che non licenzia gli impiegati bianchi che fino ad
allora avevano servito i governi Afrikaner ma che dice loro di
andarsene, se incapaci di aderire al nuovo Sudafrica; il Presidente
Mandela costretto a irrompere in un comitato dell’ANC che vuole
cambiare i nomi di tutto. Una vendetta inutile che invece si sta
mettendo in pratica ora, con nuove titolazioni di strade e
addirittura di città. Ha ragione Antjie
Krog,
poetessa, scrittrice, giornalista, ex direttore dell’Istituto per
la Giustizia e la Riconciliazione: “Il mondo continua a guardare
come a un’icona piuttosto che come a un grande leader. Vogliono
tenere le sue mani, avere le sue foto ma mai, mai capire cosa sta
cercando di indicare. E’ un rifiuto universale ad accettare il suo
spirito”.
E
infatti il mondo non capì - anzi proprio non guardo' - la portata
del gesto che Mandela fece il 16 agosto 1995 quando si recò a
Orania, enclave dei bianchi afrikaner duri e puri: arrivò nello
sperduto villaggio del Northern Cape per incontrare la moglie 94enne
dell’ex Presidente Hendrik
Verwoerd,
soprannominato l’architetto dell’Apartheid. Le critiche dai
compagni dell’ANC furono feroci, ma Mandela non si fece intimidire
e proseguì sul suo percorso di Riconciliazione, dando l’esempio
primo fra tutti: ”Dobbiamo far capire anche i più duri elementi
della destra del paese che si devono sentire parte del nuovo
Sudafrica”, disse.
Diceva
cose scomode e impegnative, Nelson Mandela, a partire da quel
semplice concetto sull'istruzione quale strumento unico per superare
le iniquita'. I suoi successori - a partire subito da Thabo Mbeki -
preferirono la Black
Economic Empowerment,
l'affemative action che obbliga le assunzioni in base al colore della
pelle. Un modo per ripareggiare i conti con secoli di esclusione, si
disse. Ma da anni le critiche arrivano anche dagli intellettuali neri
e colored liberi di pensiero. "La BEE e' la soluzione sbagliata
perche' aiuta una ristretta elite principalmente in base alla loro
vicinanza all'ANC, piuttosto che per le loro reali capacita' di
creare e condurre le realta' economiche” scrive William
Gumede
nella prefazione a una delle autobiografie di Mandela “No Easy Walk
to Freedom”.
E
soprattutto quello dell'istruzione e' il principale fallimento.
"L'istruzione e' l'arma piu' potente per cambiare il mondo"
e' una delle frasi piu' famose di Mandela. E invece e' il settore in
cui di meno si e' investito in questi due decenni: o meglio, a fronte
di un consistente esborso di soldi, con percentuali simili a quelle
del mondo occidentale, nelle township e nelle aree rurali l'alta
eccellenza dell'istruzione sudafricana lascia il posto a scuole in
container roventi d'estate e gelati d'inverno e troppo piccoli per
tutti tanto da ammassare alunni di diversi gradi o da richiedere
turni mattutini e pomeridiani. E il basso livello degli insegnanti e'
considerata la principale causa degli insoddisfacenti risultati
scolastici che ogni anno si registrano tra gli studenti neri e
poveri. Anche il ministro dell'Educazione ha ammesso questa grave
lacuna da colmare ma nel frattempo in quattro anni non ha varato le
nuove linee guida e gli standard delle infrastrutture che aveva
promesso. Pero' sono stati presi provvedimenti sono andati nella
direzione di un abbassamento delle richieste e delle offerte
formative: per accedere all'Universita' non solo ci sono quote
riservate in base al colore della pelle, ma ai neri sono richiesti
voti inferiori rispetto ai bianchi. Una delle tante cose che fa
urlare al razzismo i Sudafricani discendenti dai coloni olandesi e
quelli di origini inglesi e che preoccupa gli analisti economici - di
qualunque colore - per il futuro della Rainbow Nation. Anzi, sono
proprio i neri a essere i piu' preoccupati:”Senza un'adeguata
istruzione ci tolgono la possibilita' di andare sul mercato e cercare
posti migliori, sia in Sudafrica che all'estero”, dice una giovane
responsabile dei dopo scuola organizzati dalle ong in township.
Oggi
il Sudafrica ha un livello
di disoccupazione
giovanile
al 45 per cento,
un mercato
del lavoro sempre piu' globale e una crescita economica in forte
rallentamento che cede il passo ad altri paesi africani piu' poveri,
e con storie ancor piu' travagliate, come la Nigeria.
Lorella
Beretta
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