Ci sono due italiane, un libico, una brasiliana e una sudafricana di sangue francese.
Foto di un Primo Maggio internazionale.
Avvertenza per
lettori frettolosi, qui si parla di:
- formaggi e mozzarella, pizze con il pollo e caffè
- olio, petrolio, benzina
- Triboli e tribolazioni eppure speranze
- ebola, europa e provincialismi vari
- allarmi e allarmismi
- morti nel deserto del cuore umano
Il
libico è un ingegnere di 35 anni, in Sudafrica per imparare
l'inglese e poi costruirsi miglior futuro per sè la moglie e le due
figlie, sebbene sia ottimista rispetto al futuro, forse futuribile,
destino del suo paese. A parte la sudafricana siamo tutti immigrati,
chi di breve chi di lungo corso. Mentre Abdu e io parliamo mi viene
in mente la notizia letta ieri su tutti i media internazionali “9migrants die in Sudan-Libya desert, hundreds rescued”. In Italia
non ne parla quasi nessuno a parte un'agenzia dell'Ansa e un articolo
di Avvenire e se qualcun altro lo fa dedica un trafiletto, poche
righe, un sospiro flebile: per il resto ci sono centinaia di
riferimenti all'allarme del Viminale che all'Europa batte cassa per i
piani d'emergenza (vecchio vizio italiano) necessari per accogliere
quegli “800mila” che al Ministro degli Esteri prevedono in arrivo
dalle coste libiche. Sempre che non muiano prima nel deserto o nei
porti, come quel corpo in decomposizione trovato oggi a Sirte, che la
polizia libica attribuisce a un probabile immigrato “illegale”
verso l'Europa: per averne notizia vi tocca leggere il Libya Herald.
Insomma, anche il Governo Renzi e i suoi rappresentanti continuano a
dimostrare che dallo stivale non si vede oltre il naso o comunque non
al di là dei confini peninsulari e che nulla ha potuto il potassio
di quelle banane fagocitate su twitter e facebook. Per questo non mi
viene proprio di prendermela con la Iva Zanicchi che brama un
seggio al parlamento europeo e bramisce “Gli immigati portano
l'ebola e il colera”. In fine dei conti anche un cittadino canadese
ha protestato, con una lettera, contro il proprio Governo accusato di
non aver suonato la sirena e alzato le barriere, come se da quelle
parti di solito ci vadano leggeri con i controlli agli immigrati.
Comunque
proprio oggi a Ginevra, Alpha Conde, il Presidente della Guinea da
dove è partita la rapida sequenza di vittime, ha assicurato
l'Organizzazione mondiale per la Sanita' che la situazione “è
sotto controllo”. Frase che non vuole dire granché e che comunque
non toglie le preoccupazioni della comunità internazionali per una
malattia che non ha vaccino. Il virus si è propagato soprattutto
alla Liberia, per ora, e per ironia della sorte i paesi maggiormente
esposti vengono riassunti nell'acronimo EVA [pronuncia “iva”]
che sta per Ebola-virus affected. Ma la Zanicchi che colpa ne ha di
dire quello che dice senza straccio di prova: forse redattori e
conduttori di Agorà, nella fu gloriosa Rai3, potrebbero evitare di
inserirsi nel codone di trasmissioni a sfondo politico, e
propagandare un po' piu' di cultura scientifica, per esempio. Che i
proclami da campagna elettorale permanente li facciano altrove, i
perennemente candidati a qualcosa.
Intanto
centinaia e centinaia di immigrati grattano alle porte e si attaccano
al filo spinato di Ceuta e Melilla dove la Spagna cerca di fermare
ogni arrivo, spesso a costo della vita di chi ci prova. Ma in Italia
si contano solo morti e vivi in territorio italiano o al massimo in
acque nostre e tra ieri e oggi sono state salvate un migliaio di
anime. Nel Canale di Sicilia son giorni che va avanti cosi. I porti
clandestini libici non si sono mai chiusi, non importa Gheddafi,
primavere o estati, mare calmo o in burrasca. Io che da immigrata
privilegiata sto in fondo al continente africano vedo masse premere
quaggiù come lassù: il parcheggiatore angolano a Cape Town o quello
abusivo dal Mali nella riserva naturale tra le montagne alpine di
Franschhoek che non smette di chiacchierare e unisce le mani a coppa
per ricevere una cazzata come nemmeno un euro che e' vero che qui è
tanta roba – 10 rand – ma quando mai gli capita che glieli diano
questi del posto che vanno avanti e indietro dalla sbarra correndo a
piedi o in bicicletta vestiti super tecnici un po' fanatici. Ogni
tanto non li sopporto – ed è un eufemismo - questi sudafricanoni e
so che nessuno mi taccerà di razzismo trattandosi di bianchi e
invece c'includo anche certi neri arricchiti e classisti: alla fine
di ottobre scorso, nella profonda Calvinia, un nome che è un
programma politico, stavo impegnata in una luculliana colazione in un
delizioso ristorantino dagli antichi sapori. Quando entra questa
donna nera di una certa eta' e con abiti eleganti: molto di classe,
con modi gentili chiacchierava con un bel giovane alto e longilineo
che pensavo essere il figlio. Però derubricato a semplice
conoscenza, vedendo lei da sola a un tavolo e lui a un altro in
separata stanzina. Per rimanere alla fine profondamente turbata, al
limite dell'esplosione, quando li osservo di nuovo assieme, mentre
lui le apre la portiera della lussuosa Mercedes prima di mettersi poi
al volante a scarrozzare la matrona alla quale aveva pure caricato la
spesa. Odio di classe, lo chiamavano. Ecco, quella roba lì.
Insomma
il mondo va così, facciamocene una ragione: si divide
irreparabilmente in ricchi e poveri. Ce la conta su, chi ne fa una
questione di colore della pelle. Mentre il padre-padrone dello
Zimbabwe Robert Mugabe stringeva la mano a Papa Francesco, lo
zimbabwiano Charles si arrabbattava tra una delle sue mille
occupazioni, guardato male dai sudafricani “neri meno neri” di
lui ai quali ha “rubato” il lavoro.
Abdu
invece per ora è qui solo per studiare inglese “perché finché
c'era Gaddafi nelle nostre scuole era vietato mentre adesso per
fortuna si comincia dalle elementari speriamo che in un paio d'anni
questi nuovi facciano il bene del paese noi amiamo l'Italia e siamo i
numeri due a fare la pizza ma voi siete i migliori e anche noi
abbiamo questi alberi guarda come dite voi Zaytun [الزيتون]
ah si olive” e poi sempre senza prendere fiato una babele per dire
zucchero in arabo [سكر
],
suiker in afrikaans e açùcar in portoghese; cioccolato che
Abdu pronuncia “sciocolata” alla francese mentre per Helene
quella sarebbe una parola italiana perché finisce per vocale (che è
l'unica cosa che ha capito della lingua di Dante a parte il fatto che
pronunciamo il latino in modo strano ossia in latino) o perla
che Layla dice “pérola”, Helen chiama “perel” con l'accento
circonflesso sulla prima “e”, che non trovo sulla tastiera, e in
arabo لؤلؤ
(lu'lu')
con un soffio finale che provo decine di volte subendo sfottimento
fintanto che non recupero orgoglio e li bacchetto bloccando la pizza con il pollo e li umilio con una lezione sulla vera mozzarella, mica quella pasta filata giallastra
simile a un qualunque gouda e loro si fanno piccoli piccoli fino a
quando Abdu urla stroberri
pensando che sia già stagione e invece le piantine sono ancora
piccole e chissà cosa stanno facendo nei campi di fragole tutti quei
lavoratori piegati pure il Primo Maggio anche qui celebrato da
pomposi discorsi delle autorità in doppiopetto costoso e neppure di
gran bella fattura, sentenzio osannando la tradizione sartoriale
italiana mentre beviamo coffee eritreo con un cioccolatino di Sao
Tome che paghiamo caro come oro, caro come la benzina che aumenta
anche se al barile il prezzo crolla, per via della riapertura dei
porti libici. Mi gira la testa, sarà il vino francese o il brandy
sudafricano che non si dica cognac...
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