Gooood morning, Italia dagli occhi verde oliva [day one]


Lo so, gli italiani che vivono all'estero e che a ogni passaggio in suolo patrio non riescono a fare a meno di mettere l'indice alle enormi abnormità di questo splendido Bel Paese, stanno sulle palle. 
Se per questo motivo - o altri mille plausibili che comprendo senza ribellione - vi sto sulle palle, non andate avanti a perdere tempo. 

Dopo un anno di lontananza, nel primo pomeriggio di domenica 15 giugno atterro a Roma Fiumicino, aeroporto internazionale e anche nel 2013 primo per numero di passeggeri, come conferma Enac, l'Ente Nazionale dell'aviazione civile. Civile, oddio! Civile e' proprio l'ultima parola che mi passa nel cervello mentre siamo tutti pigiati nel trenino che dall'aereo porta questa Babele verso il ritiro bagagli. Una sgradevole voce sintetizzata dice con sgradevole tono supponente di non ostruire la chiusura delle porte:  decisamente un bel Welcoming. Appena finito di percorrere il finger si viene catapultati in una nuova dimensione. Un po' come quando attraversi la frontiera a Ventimiglia o verso la Svizzera o l'Austria e anche la Slovenia: il paesaggio diventa pulito e armonico, i modi civili. La prima parola che invece mi aggredisce l'udito e' un "e ke kkazzo" tra due uomini che stanno in piedi stringendo tra le mani un foglio di accoglienza di qualcuno per una grossa multinazionale: l'accento dell'imprecazione e' in romanesco ma solo per coincidenza territoriale.

La foto qui sopra e' la "coda" al controllo passaporti: ci sono solo due sportelli aperti, mentre gli aerei scaricano centinaia di cittadini europei e non europei in arrivo nella Capitale. Due sportelli aperti, signori, e' davvero una cosa impensabile. Ho imparato che le abitudini si assorbono in fretta: siano esse buone che cattive. Abituata a code ordinate, mi irrigidisco e subito divento scontrosa come la signora che sbuffa e si lamenta, o il giovane che sgomita e mi tocca poi prendere per lo zaino e riporlo al suo posto, dietro di me: faccio tutto con il sorriso che ancora mi rimane dalla quotidianità sudafricana "good morning madame, how are you today?". Quanto passera' prima che questo spirito gentile venga frustrato e soffocato?

Finalmente conquisto la gabbietta nella quale e' chiuso il poliziotto di frontiera: appoggio il passaporto alla finestrella intagliata nel vetro che ci separa e spontaneamente dico "Buongiooorno". Sorrido. A Cape Town al controllo documenti dopo una breve coda ordinata ero volata a uno dei sei sportelli aperti, dove l'omino colored in divisa stava ridendosela col suo collega bianco tanto da non accorgersi della mia presenza: sollecitato dal suo amico, si girava e con sorriso mi chiedeva un sincero "Sorry" e io col sorriso gli rispondevo "don't worry", lui faceva il suo check, timbrava e poi mi augurava gioioso "Have a safe trip". Il poliziotto che mi accoglie alla fine di questo lungo ma tranquillo viaggio, e' giovane e con un bel viso che pero' maschera arcigno sotto una barba folta. Al mio Buongiooorno risponde con un Ciao piacione che nessuno gli ha mai autorizzato, ma poiché gli si illuminano gli occhi verde oliva e a vedere il mio permit sudafricano sembra urlare la voglia di uscire da quel gabbiottino, lo grazio con un Ciao finale accompagnato da sguardo complice. Ciao, amico che vorresti uscire da quella garittina. Fallo dai, vola dove vuoi.

Mentre glielo auguro silenziosamente faccio i primi passi sul suolo patrio, su un corridoio sporco verso i nastri dei bagagli dove centinaia di persone provenienti da tutti il mondo sono pressate in uno spazio troppo angusto per uno scalo che adesso fa più di 35milioni di passeggeri all'anno e che dovrebbe potenziare ancora di più. Claustrofobia allo stato puro. Caos. Gente che si muove in ogni direzione, vado verso il nastro 7 quasi in controcorrente tra passeggeri urlanti e disarmati e nessun nessun nessun attendente dell'aeroporto che sia li ad assistere. Non c'e' aeroporto che abbia girato dive non ci siano assistenti per ogni situazione. Solo in Italia, questo caos nel quale per fortuna vedo il bagliore della mia vecchia valigia Samsonite verde tutta incellofanata, l'acchiappo e caricandomi di una cosa tipo 50 kg arranco fino all'uscita. Non si vede l'ombra di un carrello, che tra l'altro in Italia ti costa pure una bella 2 Euro che devi avere anche se arrivi da Tokio o da Mogadiscio, Boston o Ulan Bator: e sappi che se ce li hai non li rivedrai più, perché mai ritroverai un posto dove depositare il carrello e recuperare la preziosa moneta. Con i miei bagagli che pesano sulla mia schiena già' provata supero totalmente ignorata il controllo merci - per fortuna aggiungo - e supero le porte scorrevoli con quel sentimento di vittoria come in Chariots of fire: dura due secondi, finche' non mi ritrovo davanti un muro umano di gente che saluta urlando e tassisti come giostrai, abbracci che bloccano di corsa il tuo percorso, una borsata sul fianco, clacson di macchine incazzate strette tra pullman e macchine a noleggio con autista, muccini di sigarette come petali di rose al passaggio del Simulacro della Vergine, cartacce e sputi per terra, chewing gum sedimentate che verranno buone un giorno per futuri archeologi, asfalto bucato e ricoperto da pecette di altri colori che fanno un disordine che mi ricorda i quesiti della Susy sulla settimana enigmistica. Urge soluzione.

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