Pasta e fagioli e i bambini poveri "africani"
"Andiamo, se hai un dono vai in Africa in mezzo ai bambini bisognosi. Fai opera di carità e in silenzio", l'ex frate Cionfoli, già ex cantante, ha detto pure lui la sua su Suor Cristina che qui non e' il tema.
Ma e' quella frase li'. Quel luogo comune nel quale si e' sotterrato un continente ricco, ricchissimo. E per questo saccheggiato. Completamente incompreso, come fosse un tutt'uno e non invece un mondo di storie e culture antiche e tradizionali di una saggezza diversa cui non ci si accosta nemmeno, complementari e conflittuali.
Passino le vicine stordite ottugenarie e le amiche dell'università della quarta eta', ma la 37enne compagna di giochi in cortile che stringe le mani alla mia mamma raccomandandosi di salutarmi tanto e di manifestarmi il suo profondo rispetto perche' sarei in Sudafrica "ad aiutare i bambini poveri, che brava", ecco basta! Sia chiaro, non e' che se c'e' da aiutare bambini - o anche altre fasce d'eta', perche' no? - io mi tiri indietro, ma sarebbe come dire che chiunque si trasferisca in Italia lo faccia per combattere la corruzione, che bravo!
Africa uguale poverta' e' un'associazione che mi accompagna da quando all'eta' di forse sei o sette anni guardavo i telegiornali in bianco e nero e quei bambini con una bellissima pelle nera e tirata su visi pieni di mosche e costole inspiegabilmente visibili poco prima che lo sguardo incorresse in pance gonfie di malessere.
Qualche giorno fa la BBC rilanciava una dichiarazioni di Adrian Lovett che sostiene che "nei prossimi 25 anni saremo in grado di sconfiggere la povertà estrema in Africa". Da quando avevo sei anni, 37 anni son passati, quanti soldi della comunità internazionale son stati spesi per combattere la malnutrizione, la desertificazione, per costruire infrastrutture, progetti. Progetti e' una parola che di solito si accompagna a termini locali, dalla Tanzania al Congo al Camerun al Benin: ci sono organizzazioni governative e non governative che da decenni propongono progetti e chiedono finanziamenti, anche piccole donazioni che sgorgano dal cuore. Adrian Lovett e' uno dei guru della lotta alla povertà, esponente di mille e più campagne, e mi sta dicendo che ancora 25 anni, almeno: avrò 68 anni, 52 in più rispetto a quando stavo seduta su un divano verde pisello come si usava negli anni '70 mangiando tutto quello che avevo nel piatto per rispetto di quei bambini che vedevo sullo schermo bombato, senza sapere che un giorno il video sarebbe stato piatto, piattissimo, e non sarebbe cambiato nient'altro. Anzi i dati dicono oggi che i trasporti sono peggiori che 40 anni fa e a fianco a resort a 5 stelle dove si brinda a champagne si muore bevendo ancora l'acqua quando c'e' ma ci si rammarica per il digital divide mentre la Cina costruisce citta' moderne fantasma e conquista terreni per produrre per quei miliardi di cinesi che non se la passano meglio. La colonizzazione dei secoli scorsi e' stata sostituita dalla globalizzazione, tutto e' mercato e anche la crisi dell'economia mondiale riduce quelle opere di bene, si dice, e chissa' che sia un male o no. E le guerre, poi: le chiamano tribali ma hanno legami con equilibri mondiali lontani e indifferenti. Ignoranti. Come quelli che urlano alle invasioni degli "africani" e quelli che ribattono che gli "africani" son tutti bravi e poveretti e bisognosi di buonismo indistinto.
E via, mi sa che nemmeno quando avro' cent'anni, mangerò un piatto di pasta e fagioli fino in fondo perche' nel mio piatto non ci sarà più di quel che mi basta e non per senso di colpa inutile e dannoso. Ma forse e' più comodo così.
[e giusto perche' in questi giorni se ne parla tanto, Barbara Spinelli, bandiera della sinistra in nome e per conto del padre Altiero, ebbe a scrivere nel 2009 per La Stampa "L’Africa è l’unico continente che ha bisogno della globalizzazione come del pane". No, o la globalizzazione o il pane]
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